Fiammetti Un romanzo di sguardi
La bellezza? È una proporzione matematica ed in natura, si sa, esiste un divino architetto che ama geometrie, sezioni auree, successioni di Fibonacci e dimensioni frattali. A volte percepiamo la perfezione delle strutture (un alveare, una conchiglia, un cavolfiore…), altre volte invece no. Ci vuole un filotto di occhio, cuore e intelligenza per cogliere l’armonia nascosta e il mistero velato della realtà. Ci vuole una sensibilità alle forme e ai linguaggi, perché l’occhio non è un semplice registratore di cassa delle sensazioni visive, bensì uno scrutatore sottocutaneo delle apparenze. Lo sguardo diretto cela e cancella, meglio dunque ricorrere all’avvicinamento indiretto, obliquo, il solo capace di mettere a fuoco il significato oltre il significante.
Catalogare le fotografie di Eros Fiammetti nel neorealismo è parzialmente inesatto, se per neorealismo si intende lo strappo fenomenologico. Fiammetti, figura miliare della storia della fotografia bresciana, ricorda in soluzione diluita la grandezza di John Berger, il «romanziere dello sguardo», quando scriveva che ciò che differenzia l’uomo da qualsiasi animale è che l’uomo può «vivere con coloro che hanno vissuto, in compagnia di chi non vive più». Ecco, le fotografie di Fiammetti sono siti archeologici, che raccontano al presente la «compagnia del passato». È stata un’annata memorabile per il nostro fotografo: un’esposizione (Tra emozione e realismo) a Montisola, una negli spazi Recollection by Albrici a Firenze (C’era una volta il ‘900), in mezzo l’acquisto di due suoi scatti da parte del Metropolitan Museum of Art di New York, che ha deciso di incrementare la sua collezione dedicata ai grandi fotografi italiani del secondo dopoguerra. E non è finita, perché in questi giorni da Gusmeri Fine Art (via XX Settembre) sono stat raccolte 21 immagini inedite e strepitose — Terza scelta il titolo — recuperate dall’archivio-arca perduta di Fiammetti. Immagini dimenticate ancora in negativo dentro vecchi rullini, che l’incallito talebano del bianco e nero conservava forse per pudore o modestia per chissà quale occasione. È occasione gliela ha fornita Michele Gusmeri, valente fotografo a sua volta, ma anche uno dei migliori stampatori digitali del territorio che recentemente si è dotato di camera oscura proprio per non disperdere un antico mestiere artigianale e ridare ai documenti il loro sapore al sale d’argento.
Le fotografie esposte di Fiammetti, tutte degli anni ‘50 e ‘60, raccontano di un inesausto flâneur, che cammina nella città o tra valli e borghi periferici per dare senso alla propria vita e rileggere più da vicino il mondo e la nostra storia. Non è un alfiere della serendipity, ovvero non è colui che scopre la bellezza per caso, ma un osservatore educato alla simmetria e alla compostezza della composizione di volumi e movimenti, dotato dell’intuizione che la misura è scienza. Come l’uomo vitruviano di Leonardo: semplice, scevro da qualsiasi manierismo a venire. Fiammetti è un accordatore della nostra distrazione, coglie l’istante con le sue risonanze perpetue e le ricrea, i frammenti di realtà ne escono scolpiti o si dilatano nell’astratto di un tempo senza lancette: riflessi sull’asfalto bagnato tra le strisce pedonali, giostre di paese tra tirasegni e calcinculo, sagre di san Faustino, calli veneziane, rastrelli di legno con ombre, un cavallo surreale tra vicoli innevati, la sagoma nera di una donna in Abruzzo, una frame dal Circuito automobilistico del Garda, un matrimonio, un contadino seduto tra i suoi arnesi con le mani sul cappello che gli copre il volto reclinato, un capolavoro. Un gioco raffinato di linea di forza, di equilibri e atmosfere che rendono mirabile anche la sbavatura. Fiammetti, da buon brontolone, è sempre insoddisfatto, l’avventore invece ritrova l’autenticità della sua grazia.