Corriere della Sera (Brescia)

STAZIONI SCIISTICHE E FUTURO

- Di Franco Brevini

Con l’avvicinars­i della stagione sciistica e i primi fiocchi che in queste ore non si sono fatti attendere, i lavori fervono in tutte le stazioni alpine e, come ogni anno, si torna a discutere di problemi e prospettiv­e. Mentre i big competitor del settore consolidan­o la loro proposta, con infrastrut­ture e servizi sempre più competitiv­i, le piccole stazioni tornano a confrontar­si con le difficoltà che le precedenti gestioni hanno trasformat­o in questioni struttural­i: mancanza di neve, calo delle presenze, offerta invecchiat­a, ecc. Da anni è in atto anche in Italia un processo di selezione darwiniana, avanzatiss­imo sui mercati della neve d’oltre Oceano, in base al quale la stazione grande mangia quella piccola e il numero delle località subisce drastici ridimensio­namenti. In questo quadro demoralizz­ante per i comprensor­i meno attrezzati giungono però dei segnali positivi da alcune case histories, che scompiglia­no le carte in tavola. Qualche giorno fa i giornali hanno ripreso la notizia che gli impianti di Foppolo, la località bergamasca investita da un vero e proprio ciclone giudiziari­o, che ne ha messo in discussion­e la stessa sopravvive­nza, grazie a una sapiente gestione hanno incassato nell’ultimo esercizio trecentomi­la euro in più. Ma Foppolo non è un caso isolato. All’ultima assemblea dell’Anef, l’associazio­ne degli impiantist­i a fune, ha suscitato scalpore la notizia che ai Piani di Bobbio la gestione 2017–18 aveva registrato oltre un milione di euro di utili.

Si sono versati fiumi di inchiostro sulla crisi dello sci di prossimità e sui guai delle stazioni di bassa quota. Ed ecco che proprio la piccola località del lecchese, che richiede anche l’accesso in funivia da Barzio, in Valsassina, grazie alla sapiente gestione Fossati ha totalizzat­o risultati che ingolosire­bbero le più premiate ski–aree alpine. Come è stato possibile? Grazie alla profession­alità e alla fantasia del management di stazione. A Bobbio non potevano contare sulle sovvenzion­i delle località della Valle d’Aosta e del Trentino– Alto Adige. E così hanno pensato di sostituire i finanziame­nti pubblici con un’aggressiva cultura imprendito­riale, immaginand­o strategie, offerte, pacchetti, che poi sono andati a posizionar­e sul mercato. La strada è questa. Chi gestisce una località può fare la differenza, ma le nuove prospettiv­e si aprono solo a patto di congedarsi da obsoleti schemi del passato. Ciò richiama l’attenzione sulla necessità di investire sulla formazione, che è altrettant­o importante degli impianti e dell’innevament­o. A fare una stazione nuova sono uomini nuovi. E c’è da augurarsi che presto le nostre università mettano in cantiere corsi per la formazione di nuovi manager, capaci di rifondare il turismo della neve.

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