Frizza invade Bergamo
Questa sera al teatro Sociale concerto d’esordio del direttore musicale del Festival Donizetti
Dopo il vescovo e il direttore del Conservatorio, un altro bresciano al vertice di una delle più prestigiose realtà culturali bergamasche. Si tratta di Riccardo Frizza, che esordisce con il concerto di stasera al Teatro Sociale, nelle vesti di direttore musicale del Festival Donizetti, la prestigiosa rassegna che la città orobica dedica al suo più illustre figlio. Sul podio dell’orchestra sinfonica nazionale della Rai, Frizza dirige il Gala inaugurale con arie di Donizetti e Rossini interpretate da alcune stelle del belcanto. Sarà poi sul podio per una delle due produzioni operistiche della rassegna, il raro «Il castello di Kenilworth», in scena il 24 e 30 novembre e il 2 dicembre.
Partiamo dai massimi sistemi. Cosa rappresenta Gaetano Donizetti nel quadro dell’opera italiana?
«Donizetti è il quarto operista più eseguito al mondo. Poi, è il primo vero romantico dell’opera italiana. È colui che apre al Romanticismo e quindi rappresenta un punto di partenza per altri che ne hanno seguito poi le tracce. Donizetti nasce come compositore esattamente 200 anni fa, con la sua prima opera in scena a Venezia nel 1818: ‘Enrico di Borgogna’ che, non a caso, è nel cartellone del festival di quest’anno. Allora non era facile diventare compositori, c’era Rossini che aveva già scritto Tancredi, ma ascoltando questa prima partitura ci si rende conto che Donizetti ha già un talento straordinario e una sua estetica originale».
Quali i suoi obiettivi come direttore musicale del Festival?
«Anzitutto, migliorarne la qualità musicale. Quest’anno abbiamo un cast di primedonne (Bonitatibus, Ganassi, Pratt e Remigio, ndr) e giovani bravissimi. La volontà, condivisa con il direttore artistico Francesco Micheli, è che il nostro Festival diventi un appuntamento come il Rof a Pesaro e il Festival Verdi di Parma. Credo che Donizetti lo meriti e che Bergamo sia una città con tutte le potenzialità: ha due teatri e l’appoggio della direzione scientifica della Fondazione che pubblica di anno in anno edizioni critiche delle opere donizettiane, scelta importantissima per un autore così prolifico.
Perché avete deciso di eseguire un’opera, Enrico di Borgogna, su strumenti originali?
«È molto interessante perché ci si rende conto di come si suonava in passato, non solo a livello di timbri ma anche di intonazione. Le voci, ad esempio, suonano diversamente, più morbide, grazie al diapason a una frequenza di 415 hz. Poi, in merito all’orchestrazione, non bisogna temere di mettere un certo vigore e una certa energia».
Come sarà “Il castello di Kenilworth”?
«Una sorpresa perché si tratta di musica di assoluto livello, con idee e spunti che anticipano le opere successive, come Bolena, Stuarda, Devereux. È davvero un pozzo di idee, un po’ sulla linea delle opere napoletane di Rossini: ci sono molti duetti e un quartetto bellissimi. Non ci sono i grandi cantabili della Bolena, ma drammaturgicamente è movimentata e innovativa. Una musica senza cedimenti, difficile da cantare: forse per questo non si esegue mai».
"Frizza Eseguiremo Enrico di Borgogna con gli strumenti originali perché si capisce come si suonava in passato, non solo a livello di timbri ma anche di intonazione