Nuova vita con i social anche per le aziende
A «Pane, web e salame» come è cambiata la rete
Nel Michigan, Stati Uniti, ha sede la Domino’s Pizza. Un’azienda di grandi dimensioni che a un certo punto fu invasa dalle critiche degli utenti sui social network. E l’azienda, che ha fatto? Ha ricostruito il proprio business e alcuni prodotti a partire dalle valutazioni dei consumatori. Un feedback positivo. E questo perché i «social» aprono «spazi» che prima non esistevano: basti pensare alle comunità virtuali nate per portare avanti progetti ambientali o artistici. Oppure alle community che animano realtà come «Uber» e «BlaBlaCar», che hanno permesso a tanti di risparmiare tempo e denaro.
Certo, i social sono le stesse infrastrutture virtuali che trasmettono fake news, veicolano pubblicità assillanti agli utenti e pervadono la comunicazione quotidiana. Tutto questo però dimostra che «i social hanno un impatto sulla vita di tutti e, alla fine, non ci possono lasciare indifferenti». Ne è convinto Alessandro Mininno, ceo di Gummy Industries, azienda di comunicazione online partner di «Talent Garden», il co-working di Davide Dattoli che, nove anni fa, ebbe l’idea di avviare «Pane, web e salame». Una conferenza divulgativa nata per spiegare alle aziende, in maniera molto semplice, quali opportunità offrivano internet e i social media. «Oggi il mondo è cambiato molto. Il 93% delle grandi aziende – spiega Mininno – usano i social network. Non c’è quindi più bisogno di spiegare il web» con nozioni che oggi sarebbero scontate. Tanto che quello di ieri è stato il nono e ultimo appuntamento di «Pane, web e salame». In fondo la Rete, il lavoro, le imprese e la gente sono cambiati. I social hanno avuto di certo un impatto. «Dieci anni fa eravamo tecno-ottimisti, credevamo che i social avrebbero cambiato soltanto in meglio la vita». Ma è chiaro che il sistema si è molto evoluto, ecco il perché di un’analisi critica su come il web ha migliorato e peggiorato le cose. Da qui l’idea di portare sul palco del Cinema Eden, ieri a Brescia, diverse voci. Sia critiche sia dei cosiddetti «tecnofili».
Gian Marco Saolini, autore satirico molto attivo sul web, ha mostrato quanto sia ampia la difficoltà nel saper distinguere, oggi, una notizia da una fake. Ignoranza informatica? Per lui, il problema è più complesso.
«C’è chi sui social cerca solo conferme del proprio pensiero – dice – e non vuole confrontarsi davvero». Perciò, anche se scopre che una notizia è falsa, non la cancella. Sempre più utenti hanno eliminato l’account Facebook. Il motivo? Perché spesso si riduce a una dicotomia «tra gattini e gente arrabbiata». Tra chi mette un «like» a una storia e chi usa i social per insultare. Ma è pur vero che queste comunità virtuali hanno aperto spazi prima inimmaginabili: pensate alle raccolte fondi a scopo benefico che raggiungono milioni di persone. Oppure alla condivisione di contenuti che permettono di dare visibilità a storie o battaglie che prima rischiavano scarsa visibilità? È vero, in Facebook ci sono algoritmi che profilano la pubblicità sulle nostre abitudini e gusti. Un’invasione della privacy per qualcuno, un’opportunità per altri che ricevono spot di prodotti che li interessano.