Icone Pop, natura e citazioni fluide I racconti onirici e fluo di Brevi
L’attentato alle regole dell’arte, i quadri-trappola e i fondali da Dottore Mabuse furono studiati ai tavolini pieni di fumo del Cabaret Voltaire, mentre Tristan Tzara fischiava sul palco e certe consumatrici di uomini in pelliccia si spacciavano per muse: subito dopo, il movimento più antiborghese della Storia contagiò anche l’Italia e i futuristi. Le loro tracce — quelle dall’indole più ludica e provocatoria —, contaminate con il Pop, l’invadenza spaziale dell’Arte Povera e il citazionismo colto della Transavanguardia, sopravvivono nelle pitto-sculture di Dario Brevi: i suoi racconti onirici, ossimori fatti di pieni e di vuoti in bilico tra astratto e reale, iconico e aniconico, naturale e artificiale, sono in mostra da Colossi arte contemporanea, in città (la vernice sabato alle 16.30; fino al 15 gennaio).
Scevre dall’idiosincrasia verso la massa inebetita dal consumismo, le opere dell’artista milanese sono intrise di colori acidi e sembrano quasi fagocitare lo spazio. L’iconografia di Brevi, che si ispira alla natura, al mito futurista della velocità, alla Milano edonista e sfrenata degli anni Ottanta e alle icone pop plastificate (Marylin, Audrey Hepburn eccetera) è densa di riferimenti colti, ma spogliati di ogni accezione critica. Ogni forma scaturisce dall’Mmf (medium density fibreboard), un legno malleabile e corposo che l’artista manipola e ricopre di vernici e smalti acrilici, per attutire l’austerità della materia. Un universo onirico e caleidoscopico con messaggi da scorgere tra le stesure di colore, e a volte nascosti dietro foglie e trame vegetali.