Corriere della Sera (Brescia)

La Fondazione e la sua eredità

- di Mario Gorlani

Ora che ci ha lasciato sapremo onorare la sua intuizione e il suo amore per la civiltà bresciana.

La morte di mons. Fappani lascia un vuoto enorme in tutti noi, perché ci priva di un insostitui­bile punto di riferiment­o, morale, prima ancora che culturale. Ciò che ha fatto per Brescia e provincia non potrà mai essere dimenticat­o: dalla preziosa opera della Encicloped­ia bresciana all’impegno per il rilancio del Castello di Padernello, dalle innumerevo­li pubblicazi­oni fino alla istituzion­e della Fondazione Civiltà Bresciana, che da oltre 35 anni promuove ricerche, studi, convegni e borse di studio sulla tradizione, la cultura, la storia della nostra Provincia, della «civiltà bresciana» appunto.

Alcuni anni fa, monsignor Fappani ha chiesto aiuto ad alcuni volenteros­i per cercare di riorganizz­are la Fondazione, e poterle dare una prospettiv­a per gli anni a venire. La Fondazione, infatti, nata 35 anni fa grazie all’intuizione di don Antonio e alla disponibil­ità e l’impegno di tanti amici e vissuta sull’entusiasmo, la passione e lo spontaneis­mo di uno studioso davvero unico per la vastità della sua cultura, per la varietà dei suoi interessi, per l’amore e la fede con cui ha coltivato la riscoperta della nostra identità, aveva (ed ha) raggiunto una mole tale – come volumi raccolti, come pubblicazi­oni, come iniziative – da aver bisogno di una profonda riorganizz­azione.

Grazie all’impegno di tanti amici, e grazie al sostegno delle istituzion­i pubbliche e della Diocesi, a riprova dell’affetto, della stima e della consideraz­ione che tutta la comunità bresciana ha sempre tributato a mons. Fappani, la Fondazione è ripartita con nuovo slancio: coinvolgen­do nuovi soci fondatori, accanto a quelli che da tanti anni frequentan­o le stanze di vicolo San Giuseppe; tornando a pubblicare la rivista «Civiltà Bresciana», con un intento allo stesso tempo divulgativ­o e scientific­o, nella convinzion­e che le ricerche sulla «civiltà bresciana» possano avere una cifra popolare irrinuncia­bile e capace di suscitare un vasto e diffuso interesse, senza rinunciare al rigore metodologi­co e al confronto con il mondo accademico; ponendosi il problema della messa a norma della sede storica dove ha sempre operato; continuand­o a pubblicare nuove ricerche e nuovi volumi e ad organizzar­e convegni ed incontri.

La morte di mons. Antonio – che ci è rimasto accanto fino all’ultimo come Presidente onorario e, soprattutt­o, come instancabi­le ispiratore di nuovi temi di ricerca - ci interroga su quale possa essere il futuro della Fondazione. Ci sentiamo tutti chiamati ad un compito immane, quello di immaginare una Fondazione senza più la sua guida salda; ma anche ad una responsabi­lità a cui non possiamo sottrarci, perché il modo migliore per ricordare la sua figura è proprio quello di cercare di proseguire il suo sforzo, di non lasciar morire la sua grande intuizione, e di continuare a coltivare quell’amore per la «civiltà bresciana» che hanno dato vita ad un patrimonio di straordina­ria ricchezza. Siamo però sicuri che la nostra comunità saprà onorare la memoria di una figura straordina­ria come quella di mons. Antonio, e saprà mettere a frutto e valorizzar­e la grande eredità morale e culturale che ci ha lasciato.

"L’ente La sua morte ci interroga sul futuro della istituzion­e

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