Ciak, si lavora
Il concorso Tra documentari sulle donne-pastore e sulle balere, gli otto finalisti del premio Gavioli
Il lavoro umano, un’esperienza in cui coesistono realizzazione di sé e fatica, creatività e alienazione, contratto e dono, individualità e collettività, ferialità e festa. Si conclude oggi con la premiazione alle 16.30 nella sala della Gloria dell’Università Cattolica l’undicesima edizione del Concorso nazionale Roberto Gavioli indetto dal Musil per documentari sul mondo del lavoro. Un’edizione che conferma la polarità nazionale di questo appuntamento (42 le opere iscritte) che è diventato ambita vetrina. «La giuria — ci dice Gian Piero Brunetta, presidente e autorevole storico del cinema — ha visionato documentari di assoluto valor che affrontano temi diversi e anche nuovi legati al lavoro. La rosa dei candidati mai come quest’anno è stata ampia e articolata anche nel respiro internazionale dei risvolti spesso sconosciuti, dimostrando da parte dei registi passione e qualità». Sono otto i titoli selezionati che hanno partecipato alla fase finale di cui oggi si conoscerà il verdetto. Aperti al pubblico (2017) di Silvia Bellotti ci porta nel labirinto della burocrazia (l’istituto autonomo per le Case Popolari di Napoli) per raccontare un realtà che sta tra l’assurdo kafkiano e il folklore del teatro partenopeo; Sagre balere (2017) di Alessandro Stevanon è un cameo esistenziale di Omar Codazzi, cantante di Liscio, artista di tropici padani; In questo mondo (2018) di Anna Kauber ci restituisce la scelta di vita controcorrente delle donne pastore che hanno scelto di ritornare ad una economia primordiale, tra pecore e capre, e comunque di reddito dignitoso, recuperando la salubrità dell’aria e la propria libertà; Blu (2018) di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, incentrato sul macchinario utilizzato per scavare i tunnel e le metropoAgnese litane di tutto il mondo, è un omaggio a tutti i lavoratori invisibili; Beautiful things (2017) di Giorgio Ferrero ci parla di creazione, trasporto, commercio e distruzione degli oggetti che abitano la nostra vita quotidiana; The stone river (2013) ci propone l’odissea dei lavoratori della pietra che a cavallo tra ‘800 e ‘900 partirono da Carrara per arrivare a Barre, nel Vermont, dove si aprivano le più grandi cave di granito del mondo; Fondata sul lavoro (2018) di
Evoluzione della specie
Sono documentari che raccontano la storia del lavoro dalla manualità dalla tecnologia. Uno spaccato di società e costume. Come eravamo e come siamo diventati
Cornelio è una curiosa storia di migranti che vanno all’etero e poi si ritrovano disoccupati; La gente Resta (2015) di Maria Tilli, dedicato a quelli che hanno deciso di rimane a Tamburi, il quartiere di Taranto più inquinato d’Europa, dove sorgeva l’Ilva. «Sono documentari — commenta Brunetta — che raccontano la storia del lavoro dalla manualità alla tecnologia. Uno spaccato di società e costume. Come eravamo e come siamo diventati». Tutti i filmati rimangono in carico al Musil e costituiscono una prezioso giacimento storico per scuole, istituzioni e ricercatori. Il problema è farli circuitare. «Stiamo pensando alla formazione di pacchetti tematici — ha detto Pier Paolo Poggio, direttore Musil — per rendere maggiormente fruibile questo materiale».
Al vincitore andrà il primo premio di 1.500 euro, grazie al sostegno di fondazione Aifos.