SE NON C’È SOLO IL CARCERE
L’art. 16 del Decreto Sicurezza, ieri convertito in legge, prevede l’estensione del controllo dell’ottemperanza al provvedimento di allontanamento dalla casa familiare anche attraverso dispositivi elettronici. In buona sostanza significa che il braccialetto elettronico potrà servire a prevenire reiterazioni di condotte di stalking e violenza di genere. Ben venga. Giusto. Ma se il braccialetto è ritenuto strumento affidabile per la prevenzione di preoccupanti e diffuse condotte devianti, perché la sua adozione come strumento suppletivo del carcere, laddove sussistano esigenze di controllo dell’individuo, appare assai meno convinta? Se lo chiede – giustamente – l’Unione camere penali italiane e noi con loro. Se lo chiede la Camera penale locale alla quale non risulta, attualmente, in uso nessun braccialetto nel territorio bresciano. Eppure dopo la sciagurata fase dell’oneroso e sterile contratto con Telecom, il passaggio al nuovo gestore Fastweb che a fronte della corresponsione di 18 milioni di euro, aveva promesso da giugno 2018 l’immissione in uso di 1000 braccialetti al mese, sembrava aver aperto la strada a una rinnovata fiducia. In realtà i numeri, anche a livello nazionale, appaiono molto lontani da queste dimensioni e la motivazione di tale discrasia, riferita dai penalisti, starebbe nelle necessità di formare gli operatori di polizia all’uso dei nuovi braccialetti (che nel frattempo è divenuto una cavigliera), esigenza rivelatasi assai più lunga e impegnativa del previsto.
Che il rinnovato vigore del pensiero securitario di questa compagine di governo stia producendo diverse conseguenze sul piano dell’esecuzione della pena ci pare oggettivo. La popolazione detenuta sta infatti nuovamente crescendo e anche l’idea di utilizzare il controllo elettronico per consentire un più facile eccesso a misure esterne di esecuzione della pena, non sembra essere al vertice delle priorità politiche. Con buona pace della letteratura di settore che ormai da tempo sostiene come le misure di comunità contribuiscano ad abbattere la recidiva assai più e meglio della permanenza in carcere. Il controllo elettronico dovrebbe agevolare l’applicazione delle misure cautelari domiciliari, consentendo di deflazionare le strutture penitenziarie che, in Italia, soffrono una presenza più consistente rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei proprio sul fronte cautelare; tuttavia, nonostante una norma del 2000, novellata nel 2014, che dovrebbe garantire il ricorso al controllo elettronico, la situazione appare del tutto diversa e il controllo elettronico della libertà che potrebbe positivamente sostituire il carcere in molti frangenti, evitandone la possibile influenza generatrice di recidiva e consentendo al contempo un miglior utilizzo degli operatori deputati ai faticosi controlli manuali rimane un teorico, seppur illuminato, orientamento, decisamente arginato dal coriaceo e imperituro significato vendicativo attribuito alla pena dai tanti che, ancora oggi, disprezzano il principio rieducativo propugnato dalla nostra Costituzione. E, fra di essi, mi pare vi sia proprio chi ci governa.