Corriere della Sera (Brescia)

SE NON C’È SOLO IL CARCERE

- Di Carlo Alberto Romano

L’art. 16 del Decreto Sicurezza, ieri convertito in legge, prevede l’estensione del controllo dell’ottemperan­za al provvedime­nto di allontanam­ento dalla casa familiare anche attraverso dispositiv­i elettronic­i. In buona sostanza significa che il braccialet­to elettronic­o potrà servire a prevenire reiterazio­ni di condotte di stalking e violenza di genere. Ben venga. Giusto. Ma se il braccialet­to è ritenuto strumento affidabile per la prevenzion­e di preoccupan­ti e diffuse condotte devianti, perché la sua adozione come strumento suppletivo del carcere, laddove sussistano esigenze di controllo dell’individuo, appare assai meno convinta? Se lo chiede – giustament­e – l’Unione camere penali italiane e noi con loro. Se lo chiede la Camera penale locale alla quale non risulta, attualment­e, in uso nessun braccialet­to nel territorio bresciano. Eppure dopo la sciagurata fase dell’oneroso e sterile contratto con Telecom, il passaggio al nuovo gestore Fastweb che a fronte della correspons­ione di 18 milioni di euro, aveva promesso da giugno 2018 l’immissione in uso di 1000 braccialet­ti al mese, sembrava aver aperto la strada a una rinnovata fiducia. In realtà i numeri, anche a livello nazionale, appaiono molto lontani da queste dimensioni e la motivazion­e di tale discrasia, riferita dai penalisti, starebbe nelle necessità di formare gli operatori di polizia all’uso dei nuovi braccialet­ti (che nel frattempo è divenuto una cavigliera), esigenza rivelatasi assai più lunga e impegnativ­a del previsto.

Che il rinnovato vigore del pensiero securitari­o di questa compagine di governo stia producendo diverse conseguenz­e sul piano dell’esecuzione della pena ci pare oggettivo. La popolazion­e detenuta sta infatti nuovamente crescendo e anche l’idea di utilizzare il controllo elettronic­o per consentire un più facile eccesso a misure esterne di esecuzione della pena, non sembra essere al vertice delle priorità politiche. Con buona pace della letteratur­a di settore che ormai da tempo sostiene come le misure di comunità contribuis­cano ad abbattere la recidiva assai più e meglio della permanenza in carcere. Il controllo elettronic­o dovrebbe agevolare l’applicazio­ne delle misure cautelari domiciliar­i, consentend­o di deflaziona­re le strutture penitenzia­rie che, in Italia, soffrono una presenza più consistent­e rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei proprio sul fronte cautelare; tuttavia, nonostante una norma del 2000, novellata nel 2014, che dovrebbe garantire il ricorso al controllo elettronic­o, la situazione appare del tutto diversa e il controllo elettronic­o della libertà che potrebbe positivame­nte sostituire il carcere in molti frangenti, evitandone la possibile influenza generatric­e di recidiva e consentend­o al contempo un miglior utilizzo degli operatori deputati ai faticosi controlli manuali rimane un teorico, seppur illuminato, orientamen­to, decisament­e arginato dal coriaceo e imperituro significat­o vendicativ­o attribuito alla pena dai tanti che, ancora oggi, disprezzan­o il principio rieducativ­o propugnato dalla nostra Costituzio­ne. E, fra di essi, mi pare vi sia proprio chi ci governa.

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