Pcb e linfomi, attualmente non c’è correlazione
«Il potenziale cancerogeno disinnescato dall’interruzione della catena alimentare»
«I Pcb causano il melanoma e sono sospettati per il linfoma non-Hodgkin». Sgombra il campo da equivoci, Pietro Comba, e ribadisce la posizione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. Il dirigente, che guida il reparto di Epidemiologia ambientale dell’Istituto superiore di sanità, sottolinea che il potenziale cancerogeno del Pcb non sempre si concretizza: dipende anche dai «contesti». E nel contesto di Brescia e della Caffaro non è stata trovata alcuna associazione tra l’essere residente in quell’area della città e l’insorgenza del linfoma nonHodgkin. Alla base di tutto ci sarebbe l’interruzione della catena alimentare, con una significativa riduzione del Pcb nel sangue (-6%/anno). In parallelo, lo studio ha invece evidenziato una significativa associazione tra linfoma e virus Epatite C.
Sono queste le più importanti novità emerse dal quinto rapporto sui tumori dello Studio «Sentieri», anticipato ieri proprio da Comba insieme a Carmelo Scarcella, il direttore generale dell’Ats di Brescia. «Attenzione, però: non stiamo dicendo che il Pcb non sia cancerogeno — sottolinea il dirigente dell’Istituto superiore di sanità — diciamo che in un certo contesto non si osserva
"Scarcella L’unica evidenza individuata finora è quella tra il Pcb e i problemi cardiovascolari "Comba Non è aumentato il rischio di sviluppare il linfoma per chi vive nella zona della Caffaro
correlazione». E quello che si nota, nel contesto di Brescia e del sito Caffaro, è che «non c’è una correlazione tra l’esposizione attuale al Pcb e l’insorgenza del linfoma non-Hodgkin». È probabile che in passato il rapporto diretto sia esistito, ma non ci sono dati. Quelli di oggi ci dicono che non è aumentato il rischio di sviluppare il linfoma per chi vive nella zona della Caffaro. «Mi hanno spesso accusato di essere un negazionista, ma per parlare — dice Scarcella — servono prima delle evidenze. E oggi, nel bresciano, le abbiamo solo tra Pcb e problemi cardiovascolari». Il direttore generale, da 16 anni alla guida dell’Agenzia, ricorda che il coinvolgimento dell’Istituto superiore di sanità è un elemento di ulteriore garanzia degli studi fatti. Ma cosa è cambiato rispetto al precedente studio Sentieri? In sostanza, agli eccessi «statisticamente significativi» di linfomi non-Hodgkin e melanoma emersi nel bresciano (quarto studio) si evidenziano «segnali di allarme attenuati» nell’ultimo rapporto Sentieri, che sarà pubblicato nel 2019. Il merito? «La scelta di salute pubblica che ha portato l’Ats a interrompere la contaminazione alimentare», canale attraverso il quale l’erba e il fieno intriso di Pcb finivano nelle stalle e, da qui, attraverso carne e latte, sulle tavole dei bresciani. Insomma, Comba riconosce all’Ats il merito di aver attuato queste «misure preventive» che, unite agli studi successivi, fanno di Brescia «un prototipo» per capire come le autorità sanitarie possano agire «nei siti contaminati». Come ha sottolineato Fabrizio Speziani, nessuno mette in discussione la natura «persistente» del Pcb nel sangue. Ma questo studio sulla correlazione Pcb-linfoma non ha trovato riscontro nella popolazione bresciana, così come non si è trovata alcuna associazione tra melanoma e alti livelli di Pcb nel sangue. Dallo studio sul linfoma nonHodgkin emerge però che «l’aver lavorato in un’azienda chimica (non la Caffaro, ndr) mostra un’associazione ai limiti della significatività statistica: i piccoli numeri degli esposti – spiegano – non permettono di trarre conclusioni, ma sembrano confermare che tale esposizione lavorativa possa essere un fattore di rischio per il linfoma non-Hodgkin».