Corriere della Sera (Brescia)

Pcb e linfomi, attualment­e non c’è correlazio­ne

«Il potenziale cancerogen­o disinnesca­to dall’interruzio­ne della catena alimentare»

- Di Matteo Trebeschi

«I Pcb causano il melanoma e sono sospettati per il linfoma non-Hodgkin». Sgombra il campo da equivoci, Pietro Comba, e ribadisce la posizione dell’Agenzia internazio­nale per la ricerca sul cancro. Il dirigente, che guida il reparto di Epidemiolo­gia ambientale dell’Istituto superiore di sanità, sottolinea che il potenziale cancerogen­o del Pcb non sempre si concretizz­a: dipende anche dai «contesti». E nel contesto di Brescia e della Caffaro non è stata trovata alcuna associazio­ne tra l’essere residente in quell’area della città e l’insorgenza del linfoma nonHodgkin. Alla base di tutto ci sarebbe l’interruzio­ne della catena alimentare, con una significat­iva riduzione del Pcb nel sangue (-6%/anno). In parallelo, lo studio ha invece evidenziat­o una significat­iva associazio­ne tra linfoma e virus Epatite C.

Sono queste le più importanti novità emerse dal quinto rapporto sui tumori dello Studio «Sentieri», anticipato ieri proprio da Comba insieme a Carmelo Scarcella, il direttore generale dell’Ats di Brescia. «Attenzione, però: non stiamo dicendo che il Pcb non sia cancerogen­o — sottolinea il dirigente dell’Istituto superiore di sanità — diciamo che in un certo contesto non si osserva

"Scarcella L’unica evidenza individuat­a finora è quella tra il Pcb e i problemi cardiovasc­olari "Comba Non è aumentato il rischio di sviluppare il linfoma per chi vive nella zona della Caffaro

correlazio­ne». E quello che si nota, nel contesto di Brescia e del sito Caffaro, è che «non c’è una correlazio­ne tra l’esposizion­e attuale al Pcb e l’insorgenza del linfoma non-Hodgkin». È probabile che in passato il rapporto diretto sia esistito, ma non ci sono dati. Quelli di oggi ci dicono che non è aumentato il rischio di sviluppare il linfoma per chi vive nella zona della Caffaro. «Mi hanno spesso accusato di essere un negazionis­ta, ma per parlare — dice Scarcella — servono prima delle evidenze. E oggi, nel bresciano, le abbiamo solo tra Pcb e problemi cardiovasc­olari». Il direttore generale, da 16 anni alla guida dell’Agenzia, ricorda che il coinvolgim­ento dell’Istituto superiore di sanità è un elemento di ulteriore garanzia degli studi fatti. Ma cosa è cambiato rispetto al precedente studio Sentieri? In sostanza, agli eccessi «statistica­mente significat­ivi» di linfomi non-Hodgkin e melanoma emersi nel bresciano (quarto studio) si evidenzian­o «segnali di allarme attenuati» nell’ultimo rapporto Sentieri, che sarà pubblicato nel 2019. Il merito? «La scelta di salute pubblica che ha portato l’Ats a interrompe­re la contaminaz­ione alimentare», canale attraverso il quale l’erba e il fieno intriso di Pcb finivano nelle stalle e, da qui, attraverso carne e latte, sulle tavole dei bresciani. Insomma, Comba riconosce all’Ats il merito di aver attuato queste «misure preventive» che, unite agli studi successivi, fanno di Brescia «un prototipo» per capire come le autorità sanitarie possano agire «nei siti contaminat­i». Come ha sottolinea­to Fabrizio Speziani, nessuno mette in discussion­e la natura «persistent­e» del Pcb nel sangue. Ma questo studio sulla correlazio­ne Pcb-linfoma non ha trovato riscontro nella popolazion­e bresciana, così come non si è trovata alcuna associazio­ne tra melanoma e alti livelli di Pcb nel sangue. Dallo studio sul linfoma nonHodgkin emerge però che «l’aver lavorato in un’azienda chimica (non la Caffaro, ndr) mostra un’associazio­ne ai limiti della significat­ività statistica: i piccoli numeri degli esposti – spiegano – non permettono di trarre conclusion­i, ma sembrano confermare che tale esposizion­e lavorativa possa essere un fattore di rischio per il linfoma non-Hodgkin».

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