Vincent e Paul, l’origine di tutto
«I colori delle stelle. L’avventura di Van Gogh»: due mesi che sconvolsero l’arte
«Amò turna!» Ma che è? Un beffardo ricorso storico vichiano? Una ricaduta di una malattia? L’avevano cacciato dalla porta e lui rientra dalla bocca di lupo. Marco Goldin ricompare a Brescia, non si può credere. Il fabbricante di mostre-monstre, il manager della business art, il curatore seriale di eventi per famiglie dedicate a movimenti iperpop della pittura, colui che «parigizza» (Sgarbi dixit) le piccole città di provincia, regalando qualche sindrome di Stendhal alla massa degli ipovedenti e burini , è dunque un recidivo?
È trascorsa una decade bella e buona dai fasti/nefasti delle sue Grandi Mostre bresciane e non è il caso di riattizzare polemiche che potrebbero durare quanto la saga del Trono di spade.
Tranquilli, Marco Goldin torna a Brescia per presentare il suo primo romanzo, I colori delle stelle. L’avventura di Van Gogh (Solferino, pp. 281, euro 17,50). Un libro che condensa passione e carriera, la sua «magnifica ossessione» per l’impressionismo e soprattutto i suoi dintorni, gli autori che bucano gli orizzonti e vanno oltre, una stagione della cultura che bypassa il moderno verso il contemporaneo.
Per Goldin raccontare è una attività metabolica. Ogni sua mostra è il racconto delle sue emozioni. I suoi cataloghi, il suo teatro-racconto è filò condiviso. Ha incarnato lo storytelling prima che il fonema diventasse una salsa modaiola. Ha praticato da sempre la contaminazione dei linguaggi. Non stupisce quindi la sua incursione nella narrativa.
La storia sulla pagina ripercorre due maledizioni parallele, quella di due artisti sognatori poveri in canna, divorati dalla bestia dell’inquietudine: uno francese di sangue peruviano (Paul Gauguin) che cercava una vita di cui avere nostalgia e inseguiva il profumo del colore, l’altro un olandese matto come un cavallo che voleva mettere nei ritratti della persone anche un po’ della sua anima.
Paul si imbarca prima per Panama e poi per la Martinica, da dove ritorna debilitato dalla dissenteria e dalla malaria. I due si conoscono ad una mostra parigina all’inizio del dicembre 1887 e si ritrovano l’anno dopo a convivere per due mesi sotto lo stesso tetto, quello della Casa Gialla ad Arles: dal 23 ottobre al 23 dicembre.
Avevano desiderato un Atelier del Sud, una residenza-cenacololaboratorio per progettare, dibattere, condividere, ma erano incompatibili e dispari. Potevano andare insieme al bordello (ad Arles ce n’erano otto), ma la quotidianità comporta stoica applicazione e gli artisti vivono sull’orlo di una crisi di nervi.
Paul, spirito nomade, inseguiva civiltà perdute, convinto che «il grande rinascimento della pittura risiedesse proprio nei luoghi incontaminati», Vincent, mistico e romantico, amava il regime di comunione, aveva bisogno di aggrapparsi a qualcuno cui confidare la disperazione che lo consumava. Paul dipingeva a memoria nel chiuso di una stanza, Vincent posizionava il cavalletto en plein air, fritto dal sole a picco, sferzato dal mistral. Paul trovava nel colore il silenzio e la geometria, Vincent invece l’urlo e il furore.
L’equilibrio già precario si ruppe poco prima della notte di Natale. Van Gogh si tagliò l’orecchio, travolto da un ictus di follia, Gauguin fece le valigie direzione Parigi e la Bretagna.
Due mesi sono una frazione di tempo, ma quei due mesi diventano patrimonio comune della loro (e nostra) umanità, fornello di dolore e nostalgia, ma anche di sapere ed esperienza. Goldin attinge alle fonti (giornali, epistolari, tele…) e ricostruisce cronaca dei giorni e «moti dell’anima», figure e paesaggi, dettagli minuti e spessori profondi: la pianura della Crau, le Alpilles, i girasoli, i cieli lapislazzulo, i mari di grano, le luci epifaniche, l’avventura di un nuovo sguardo, il delirio (o martirio) creativo, la religiosità dei sentimenti e i vizi capitali di una vita che è agonismo, estasi e caccia tragica.
Affabulatore caldo e anti-accademico, Goldin ci mette dentro il trasporto del cuore e della carne, si riappropria della storia e racconta l’arte con suo marchio: attraverso poesia, empatia e conoscenza.
Il colore
Il francese cercava una vita di cui avere nostalgia e inseguiva il profumo del colore
I ritratti
L’olandese voleva mettere nei ritratti della persone anche un po’ della sua anima.