BRESCIA PIÙ VERDE PIÙ UMANA
Fra i tanti effetti benefici ricavati da Mantova dal fatto di essere stata capitale della cultura nel 2016 ci sono le relazioni internazionali costruite e la notorietà conseguita. Non è dunque un caso che la città virgiliana sia stata scelta dalla Fao come sede, nel weekend appena concluso, del primo Forum internazionale sulle foreste urbane. Nome esotico, che sembra evocare giungle e liane, ma che in realtà ha a che vedere semplicemente con il verde urbano. Portare alberi dentro (e attorno) alle città è una sfida vitale per migliorare le condizioni dell’ambiente in cui, a breve, vivrà la maggioranza degli abitanti della terra. Alla ribalta mondiale, va detto, Brescia ha fatto una figura brillante e il sindaco Emilio Del Bono e l’assessore Miriam Cominelli hanno potuto portare dati eloquenti che vengono da decenni di scelte amministrative, di parchi costruiti e tracciati sulle mappe, di alberi piantumati e fazzoletti verdi recintati. La Leonessa è infatti leader regionale per dotazione di piante (64 ogni cento abitanti) ed è in grado di doppiare le inseguitrici (Milano con 34 e Mantova con 32). Un primato che merita enfasi ed elogi, visibilità e analisi, cure e accrescimenti. Esso deriva dal fatto che Brescia dispone di 4,76 milioni di metri quadrati di verde composti — nel dettaglio — da 3.2 milioni di metri quadrati di parchi e giardini, 260 mila di aree verdi scolastiche, 333 mila di verde cimiteriale, 460 mila di cave ri-naturalizzate, 90 mila di boschi per un totale appunto di 125.681 alberi.
Anche l’ultima amministrazio ne ha fatto la propria parte: in sede di bilancio arboreo 20132018 può vantare la messa a dimora di 11.779 piante su suolo pubblico a fronte di 7.747 nuovi nati, con un rapporto dell’1,52, che diventa del 2,25 se si aggiungono i 5.644 alberi piantati su aree private in accordo con il Comune. Il tutto non avviene in maniera spontanea o irriflessa. Brescia si colloca intenzionalmente nella Strategia nazionale del Verde urbano: bilancio arboreo, piantumazioni estensive, riqualificazione di siti inquinati con opere a verde, coinvolgimento dei cittadini. Anche il verde privato viene rivalutato e considerato per la sua utilità comunitaria. Lo stesso sindaco ha ammesso tuttavia che c’è molto da fare: se parco delle colline a Nord e parco delle cave a Est sono polmoni verdi ormai acquisiti, l’asta del Mella e la mitigazione lungo le grandi arterie stradali a sud della città richiedono ulteriori interventi. Ma, di fronte a un simile patrimonio si pone da subito un problema di conoscenza, fruizione, manutenzione. La conoscenza potrebbe assegnare nuovi compiti al ri-nascituro Museo di scienze. La fruizione impegnerebbe un po’ tutti: le scuole e i grest che potrebbero affiancare alle gite ai parchi artificiali (con animali esotici o giostre avveniristiche) escursioni non meno avventurose nei boschi e nei parchi a due passi da casa; al tempo stesso mappe, sentieri, aree didattiche, segnalazione e descrizione dei monumenti vegetali richiederebbero un grande lavoro scientifico, didattico e di appropriazione comunitaria. Infine un patrimonio simile non potrebbe essere lasciato allo stato brado ma richiederebbe una coltivazione scientificamente fondata, non diversa da quella riservata ai grandi boschi alpini. Spazio dunque all’iniziativa privata ma anche ad alcune figure pubbliche di guardie, guide, custodi, osservatori e infine di boscaioli e taglialegna presumibilmente giovani e amanti dell’aria aperta, del rapporto con la natura e del lavoro fisico. La creazione di alcuni posti di lavoro di questo genere avrebbe un valore programmatico e perfino emblematico: contro il diritto delle braccia conserte il dovere delle braccia operose, contro il reddito di cittadinanza il salario di intraprendenza.