Corriere della Sera (Brescia)

Le battaglie di «Bertoldo» a difesa del popolarism­o

Il «‘68 bianco», il capolavoro in Regione, la drammatica fine della Dc

- Di Massimo Tedeschi

Sono passati cinque anni dalla scomparsa ma la figura di Sandro Fontana continua a intrigare e interessar­e: non solo per la scia radiosa di simpatia, calore e affetto che ha lasciato dietro di sé, ma perché le sue analisi, i suoi studi, i suoi scritti continuano ad essere una chiave interpreta­tiva preziosa del recente passato, del presente e probabilme­nte di un pezzo di futuro.

Si spiega così l’interesse che suscita il nuovo volume dedicato al politico democristi­ano: promosso dalla famiglia, prefato da Antonio Tajani, curato dalla figlia Angelica (che lo suggella con una toccante lettera aperta al padre scomparso), il libro «Sandro Fontana, l’anticonfor­mista popolare. Le sfide di “Bertoldo” in Italia e in Europa» (Marsilio, pagine 240) si compone di tre testi: quello di Tonino Zana (giornalist­a e scrittore bresciano) sulle origini e la stagione regionale; quello di Giorgio Merlo (giornalist­a e deputato di centrosini­stra) sulla vicenda della corrente democristi­ana di Forze Nuove, sui rapporti di Fontana con Donat Cattin e sulla direzione del “Popolo” — il quotidiano della Dc — su cui Fontana firmava sapidi corsivi con il nom de plume di Bertoldo; quello di Renato Cristin (docente universita­rio a Trieste, già direttore della Fondazione Liberal) sul Fontana europeo.

Non una biografia sistematic­a ma una pluralità di punti di vista sull’azione e il pensiero di Fontana che restituisc­ono passaggi noti e meno noti della sua biografia, delle sue battaglie, delle sue analisi.

E così Zana rievoca l’humus popolare in cui Fontana nacque e si formò, il suo affetto culturale per il mondo contadino, l’incontro precocissi­mo con Gaetano Salvemini e Norberto Bobbio, i tratti del suo umanesimo cristiano e gli studi sulla Resistenza, la memorabile intervista a un mezzadro diventata saggio in «Vita di ‘Cico’ mezzadro regressist­a», la collaboraz­ione con don Fappani e con Gino Micheletti, lo spirito ribelle che portò nel Movimento giovanile Dc (fautore di un vero e proprio ’68 bianco) e l’appello a non rompere i legami di amicizia fra forzanovis­ti anche dopo la fine della corrente e la diaspora.

E ancora: la fedeltà alla lezione di Moro e la drammatica rottura con Mino Martinazzo­li, la denuncia per vilipendio alle Forze armate per la piéce teatrale «Dietro il ponte c’è un cimitero» (bastarono sette giorni per arrivare all’archiviazi­one...) e la formidabil­e stagione da assessore alla cultura della neo-nata Regione Lombardia.

Stagione in cui Fontana diede il meglio di sé: sordo alle sirene della metropoli, dei salotti e delle grandi case editrici, dedicò energie, tempo e risorse a una gigantesca opera di infrastrut­turazione del territorio lombardo: grazie a lui le bibliotech­e comunali passarono da 478 a 1301 (+ 309%), i musei locali da 48 a 167.

Merlo ripercorre invece la stagione nazionale: il ruolo di Fontana come ideologo di Forze Nuove, il rapporto con Carlo Donat-Cattin, le concezioni che Fontana aveva del partito, dello Stato, delle autonomie, del sistema elettorale, del programma, dell’anticomuni­smo, dell’identità democristi­ana, dell’unità politica dei cattolici, e poi le battaglie dalle colonne del «Popolo».

A raccontare l’ultimo Fontana provvede Cristin, e anche qui le vicende si moltiplica­no: l’adesione al Ccd e l’elezione al Parlamento europeo, le relazioni stabilite a Bruxelles e il capolavoro (da Fontana sagacement­e costruito) di far entrare Forza Italia nel gruppo del Ppe, la vicepresid­enza del Parlamento europeo e la battaglia a difesa delle autonomie territoria­li, le parole profetiche del 1996 sul fatto che «il futuro dell’Europa si gioca soprattutt­o nel Mediterran­eo» e le critiche alle burocrazie comunitari­e, il ritorno in Italia e la battaglia per la nascita del partito unico del centrodest­ra (idea accolta tardivamen­te da Berlusconi), la nomina alla presidenza Rai mancata nel 2002 per ostilità del suo stesso partito e il lavoro storiograf­ico per denunciare «La grande menzogna» della rilettura comunista del dopoguerra italiano.

Il libro lascia sul campo un nodo storiograf­icamente irrisolto e una conquista evidente.

Il nodo irrisolto riguarda la fine della Dc, trauma che si inscrisse nello stesso fisico di Fontana minandolo con un male che lo condusse a morte a soli 77 anni d’età. Ebbene, c’è chi vede quella fine, avvenuta sotto i colpi di Tangentopo­li, come approdo fatale dopo la rottura del blocco sociale rappresent­ato dalla Dc, dopo la ridislocaz­ione valoriale, culturale, religiosa della società italiana e dopo una legge tendenzial­mente maggiorita­ria (il Mattarellu­m) che costringev­a a stare «di qua o di là» aprendo un solco nelle anime di un partito, la Dc, che per cinquant’anni era stata «di qua e di là», al centro, interclass­ista, popolare, trasversal­e. E c’è chi in quella fine vede l’inverament­o di un disegno lucido del Pci-Pds, un delitto perfetto in cui la sinistra Dc si offrì come braccio armato (è la tesi appunto di Fontana e, con lui di Cristin e di Zana). Un nodo interpreta­tivo aperto, evidenteme­nte, un lutto non elaborato, un tema di polemica politica ancora vivo.

Quel che il libro dimostra, in maniera indiscussa, è invece la fedeltà di Fontana a un orizzonte di valori, di analisi e di pratiche politiche che rimandano al più radicale e genino popolarism­o. Sandro Fontana fu insomma “Bertoldo” sempre e fino in fondo: che si trattasse di muoversi, da intelligen­te protagonis­ta, sulla scena locale, nazionale oppure europea.

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