Corriere della Sera (Brescia)

Il manager israeliano: proteggete­mi

Sherman parla da Canton Mombello: «In Russia non avrei un processo equo»

- Mara Rodella

Il’ja Sherman è un manager di origine ebrea, 50 anni, detenuto a Canton Mombello dallo scorso marzo su mandato di cattura internazio­nale emesso dalla Russia, che lo rivuole in patria per processarl­o per truffa aggravata. Dal carcere chiede aiuto all’Italia: ha avanzato istanza di protezione internazio­nale. La Corte d’appello di Brescia (nonostante il parere negativo della Procura generale) ha dato parere positivo all’estradizio­ne, così come la Cassazione.

È stanco, molto stanco. A tratti rassegnato. Ma ha intenzione di lottare fino in fondo, perché lui, in Russia, non ci vuole tornare: in manette, per di più. Il’ja Sherman è un manager di origine ebrea di 50 anni, detenuto a Canton Mombello dallo scorso marzo — fu arrestato dalla polizia durante una vacanza con moglie e figlia sul Garda — su mandato di cattura internazio­nale emesso dalla Russia, che lo rivuole «in patria», là dove lui ha lavorato «per una compagnia che non era filogovern­ativa» fino a otto anni fa, quando è tornato in Israele. Lo accusano di truffa aggravata: per aver acquistato due terreni del demanio russo, a circa 8,5 milioni di euro. Ma per il suo legale russo, Aleksej Obolenec, dietro questa vicenda si nascondere­bbero soltanto giochi di potere e ritorsioni di natura politica: tangenti negate a imprendito­ri vicini al presidente Putin, anni fa, e un impegno politico verso l’opposizion­e che non è piaciuto affatto.

Dal carcere, adesso, dopo l’immobilism­o di Israele, chiede aiuto all’Italia. Lo ha fatto di persona, avanzando istanza di protezione internazio­nale — che sarà valutata in commission­e — «in relazione alla persecuzio­ne politicame­nte motivata con l’azione penale nei miei confronti e in quelli delle persone che sono state i miei datori di lavoro in Russia». Perché, ripete fino allo sfinimento, «proprio in Russia non posso contare sulla protezione dei miei interessi e dei miei diritti: le autorità utilizzano gli inquirenti, la procura e gli organi giudiziari per perseguita­re i miei ex capi a causa delle loro opinioni politiche».

Ma il destino di Sherman è legato anche al nostro governo. Perché dopo la Corte d’appello di Brescia (nonostante il parere negativo della Procura generale) anche la Cassazione ha dato parere positivo alla sua estradizio­ne, nonostante i precedenti e nonostante le motivazion­i dettagliat­issime depositiat­e dal legale italiano che sta seguendo il caso, l’avvocato Pasquale Pantano. In primis: il rischio concreto che il rispetto dei diritti fondamenta­li dell'uomo, in Russia, a Sherman non sarebbero garantiti. Nè in carcere nè in tribunale. Lui e la sua famiglia lo ripetono da tempo. Anche in una lettera: «Ne ho più che abbastanza di dimostrare che in Russia sarebbe impossibil­e per me avere anche solo una chance di un giudizio equo in queste condizioni, che approssima­tivamente richiami il rispetto dei diritti umani». Ma si dice anche «positivame­nte sorpreso» del fatto che il procurator­e generale Pier Luigi Maria Dell’Osso abbia scritto al ministero di Giustizia, cui spetta l’ultima parola sul caso. Tempo 45 giorni.

Tra quattro invece, il 19 dicembre, in Cassazione c’è un’altra udienza: fissata per discutere l’opposizion­e della difesa alla misura cautelare in carcere. «Ma non nutriamo grandi aspettativ­e», ammette l’avvocato. Lui, Sherman, non si dà per vinto. «Speriamo».

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Detenuto Il’ja Sherman
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