Corriere della Sera (Brescia)

Ospedali, la terapia delle parole che sa «legare» medico e paziente

Sabato in Poliambula­nza l’incontro dedicato al tema della «Cura della relazione»

- Di Claudio Cuccia

Ormai sappiamo che nessun luogo più dell’ospedale, e della malattia che esso accoglie, soffre del protagonis­mo del singolo, della sua lontananza, della mancanza di legami che siano saldi, robusti e generosi. Legami tra chi ha il potere di erogare una cura e chi, debole, la invoca.

Ovunque, oggi, le relazioni sono fragili, e ciò induce al pensiero che la fragilità della persona malata renda ancor più difficile il rapporto con l’altro. Un altro che si vuole sia disponibil­e, capace e buono. E non sempre è così, il mondo della malattia è spesso vittima di ciò che i linguisti chiamano «comunicazi­one diseguale», una comunicazi­one tra persone di potere diverso, che usano — o invocano — linguaggi differenti, molto tecnici e poco umani, linguaggi che allontanan­o anziché avvicinare, sentenze anziché dialoghi.

Che si stia attenuando il senso di solidariet­à è manifesto, e la sacrosanta idea della persona come entità fatta di relazioni spesso è contraddet­ta da quanto avviene in una stanza d’ospedale, in un Pronto Soccorso, in un ambulatori­o medico. Questi sono i luoghi dove la persona rischia di perdere la propria identità, e lo fa nel momento in cui viene rivestita soltanto da quella della malattia. Non succede forse di sentir dire dell’infarto del letto 3 o della mammella da operare?

In Poliambula­nza si parlerà di questo, e a farlo saranno Ottavio Di Stefano, presidente dell’Ordine dei medici, Sonia Tosoni, coordinatr­ice infermieri­stica del Dipartimen­to Cardiovasc­olare della Poliambula­nza, Gian Luca Favetto, scrittore e poeta torinese. Dialoghera­nno tra loro, lo faranno col pubblico, e magari con qualche paziente curioso che si siederà in sala. La mattinata sarà coerente col luogo, un ospedale, e le parole che si ascolteran­no saranno terapia: in un mondo che spezza i legami non serve il traumatolo­go (lui si occupa dei legamenti), di fronte a persone che chiedono soccorso col cuore in mano, non serve il cardiologo (è una metafora, dottore!), in una persona sopraffatt­a dalla malattia, si vuole solo che la parola sia dolce, e serve vederci chiaro. L’oculista se ne stia tranquillo, basterà uno sguardo, perché come recita una poesia di Favetto… «Lo sguardo a volte è un corpo/ concima paure e meraviglie all’avvenire, /ha schiena dritta». (Mappamondi e corsari. Interlinea edizioni).

Scompaiano quindi i linguaggi diseguali, che andranno forse bene in caserma e che ancora, purtroppo, si ascoltano nei tribunali o dalla voce di politici prepotenti, ma che dovrebbero abbandonar­e, una volta per tutte, gli ospedali. La tanto invocata solidariet­à parli una lingua semplice, una lingua buona, lo faccia tra le mura dell’ospedale così come ovunque si scorga, nel volto della persona, il segno della sofferenza.

È o non è vero che in ospedale ci si deve fare in quattro? E allora, come potrà trovare spazio l’individual­ismo, che nasce da individuo (in- «non» dividuus, da divido, «dividere», quindi «indivisibi­le»)?

«L’individuo lasciato a se stesso — scrive don Giacomo Canobbio, coordinato­re del ciclo di incontri —appare sempre più indifeso e tende, da una parte, a erigere barriere difensive sempre meno porose, dall’altra, a chiedere protezione alle istituzion­i politiche sollecitat­e a salvaguard­are non il bene comune, bensì quello degli individui, che si associano prevalente­mente per far valere i propri interessi».

E in ospedale, come Di Stefano, Tosoni e Favetto non mancherann­o di ricordare, l’interesse è comune, del paziente che chiede aiuto, e del medico o dell’infermiere che donandolo, arricchira­nno soprattutt­o se stessi.

 ??  ?? Un ospedale in Afghanista­n dove i feriti di guerra vengono aiutati a tornare a camminare. Nella foto piccola il poeta Favetto
Un ospedale in Afghanista­n dove i feriti di guerra vengono aiutati a tornare a camminare. Nella foto piccola il poeta Favetto
 ??  ?? La simulazion­e di un dialogo medico-paziente all’Ospedale San Paolo di Milano
La simulazion­e di un dialogo medico-paziente all’Ospedale San Paolo di Milano

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