LA FESTA DI SAN FAUSTINO UN EVENTO RELIGIOSO MA CON VENATURE CIVICHE
Gentile Tedeschi, sono un bresciano laico e ogni volta, in concomitanza con la data del 15 febbraio, mi trovo a constatare quanto un appuntamento semplice come la fiera di San Faustino sia in grado di attirare fiumi di persone. Ora non vorrei sembrare dissacrante, ma mi domando quanto di religioso rimanga in tutto questo bailamme, e quanto invece di profano e consumistico. Lei come la vede?
Santo Busi Caro Santo, non conosco altre città del nord dove la festa del patrono sia tanto sentita, e generi un evento — la fiera — che monopolizza per una giornata l’intero centro storico. È il segno della vitalità di un appuntamento «pop» come la fiera, ma è anche lo specchio della natura dei patroni di Brescia e della loro devozione. Una devozione che ha una fortissima coloritura cittadina, municipale e «politica»: ci furono espliciti progetti di politica ecclesiastica all’origine della realizzazione del monastero di San Faustino (abbazia vescovile alternativa a Santa Giulia e a Leno), ci sono disegni civici per valorizzare questa sede rispetto alla chiesa sorta là dove i resti dei martiri vennero rinvenuti (San Faustino ad sanguinem, oggi Sant’Afra, cenacolo di Sant’Angela Merici). Il caleidoscopio di tradizioni legate ai due santi è poi impressionante: furono raffigurati prima come militari romani, poi come sacerdote e diacono, poi di nuovo come guerrieri. I loro luoghi di culto non sono uno ma tre: San Faustino ad sanguinem, la basilica di San Faustino e, a metà strada, la chiesetta di San Faustino in riposo a Porta bruciata. Colpisce infine come il miracolo che riportò in auge in due santi — la difesa della città il 13 dicembre 1438 durante l’assedio dei milanesi guidati da Niccolò Piccinino — non venne notato dai bresciani ma dai milanesi. Se ne sparse la notizia, da parte milanese, solo dopo che l’armata meneghina aveva già levato le tende. Nessun bresciano gridò, all’istante, al miracolo. In compenso chi veniva da fuori notò quanto di speciale aveva la città. In questo, in fondo, il miracolo del Roverotto è modernissimo. Anzi, sembra contemporaneo.