Camionista senza orari Assolto trasportatore
Nessun colpevole per le maestre di Leno uccise in A21, l’accusa aveva chiesto sei anni
Quando investì, in A21, l’auto con le due maestre di Leno, Michela D’Annunzio di 42 anni e la collega Maria Grazia Tomasini di 42, guidava quasi ininterrottamente da tre giorni e aveva manomesso il cronotachigrafo sul suo camion per nascondere il mancato rispetto dei riposi. L’incidente costò la vita alle due maestre e anche al camionista (Alfredo Fioravanti, 50enne), dipendente di una ditta di Sarzana. Per quelle morti la procura di Cremona ha chiesto la condanna a sei anni del titolare della ditta di autotrasporti, ma ieri i giudici l’hanno assolto «perché il fatto non sussiste».
CREMONA Guidava quasi ininterrottamente da tre giorni con il cronotachigrafo del camion manomesso, quando il 22 luglio del 2015, Alfredo Fioravanti, autotrasportatore cinquantenne di Avenza (Massa Carrara), troppo tardi si accorse di una coda causata da un cantiere sull’A21, in direzione Brescia. Il mezzo con rimorchio a cisterna che trasportava carbonato di sodio, tamponò una Renault Clio, sulla quale viaggiavano Michela D’Annunzio e Maria Grazia Tomasini, 36 e 42 anni, entrambe maestre di Leno. La vettura finì contro un altro camion che trasportava latte. In pochissimo tempo divamparono le fiamme. In quell’inferno morirono sia Fioravanti sia le due donne bresciane.
Una distrazione? Oppure un colpo di sonno dovuto alle troppe ore passate sul camion, come riteneva la procura? Manca la prova. Ieri il tribunale di Cremona ha assolto dall’accusa di omicidio colposo plurimo, «perché il fatto non sussiste», il datore di lavoro di Fioravanti: Federico Bologna, legale rappresentante della Sts srl (Società di trasporti e logistica) di Sarzana, accusato di aver violato le norme in materia di riposi, pause e durata della guida a tutela dei lavoratori addetti all’autotrasporto di cose o persone. Il pm aveva chiesto la condanna a 6 anni di reclusione. Ed è stata assolta la società, imputata «di non aver predisposto modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi». Per la Sts, il pm aveva invece chiesto la condanna a 450 quote da mille euro l’una.
La motivazione della sentenza sarà depositata tra novanta giorni. «Non ci posso credere», ha detto, con un filo di voce, Nicolò, secondo figlio di Fioravanti, consolato dalla madre. All’epoca il ragazzo era alle superiori, il fratello più grande all’università. In casa lo stipendio lo portava solo il padre: dai 2.500 ai 3 mila euro. «Mio marito a casa si lamentava, perché faceva tante ore di lavoro, più del dovuto. Infatti, in casa non c’era mai. Capitava che facesse anche due viaggi in un giorno solo», ha raccontato la vedova. Le indagini condotte dalla Polizia stradale accertarono che il 20 luglio il camionista non aveva effettuato il riposo giornaliero, il 21 luglio aveva guidato per 18 ore e il 22 luglio era alla guida da dieci ore prima di causare l’incidente. «Papà si lamentava, diceva che il lavoro era stressante. Era stanco, immagino in relazione alle ore che faceva. Non aveva orari fissi. O si alzava all’una di notte o alle quattro del mattino», ha detto Nicolò, al quale è capitato di accompagnare il padre in uno di quei lunghi viaggi in alta Italia. «Il venerdì saltavo la scuola e andavo con lui. Me lo chiedeva lui per tenerlo sveglio, per parlargli nei lunghi viaggi. Si caricava a Carrara, si partiva, si scaricava, si tornava, si ricaricava e si ripartiva. Al rientro dal primo viaggio, papà cambiava il disco del cronotachigrafo. I dischi li conservava tutti in una scatoletta». Ed è capitato anche alla vedova. «Che ci fosse una stanchezza di fondo è fuori discussione. Se Fioravanti avesse avuto un malore, magari provocato da stanchezza? Purtroppo, l’autopsia venne effettuata tredici giorni dopo e non abbiamo avuto risposte», ha affermato l’avvocato di parte civile Simona Bracchi.
«Sapevo dall’inizio che sarebbe stata una probatio diabolica cercare di trovare una connessione che reggesse in dibattimento tra la perdita di controllo del mezzo e il mancato rispetto dei tempi di guida da parte del conducente – ha commentato il comandante della Polizia stradale, Federica Deledda — Noi continuiamo a lavorare sul fronte della prevenzione e del controllo per tutelare le aziende che lavorano con correttezza e tutti gli utenti che condividono la strada con i veicoli commerciali. Che l’azienda lavorasse così e che anche il dipendente lavorasse in queste condizioni è un fatto incontrovertibile. Che poi non abbia retto in giudizio, è un altro conto. È incontrovertibile che abbiamo tre morti per strada. Ed è incontrovertibile che abbiamo una sentenza di assoluzione».