Corriere della Sera (Brescia)

Scarpette numero 44

Lo show dei catalani Chicos Mambo tra ironia e citazioni

- Valeria Crippa

Muscoli e tutù, elargiti con tutta l’ironia surreale di cui è capace la Spagna che guarda alla Francia. Largo al balletto «en travesti», carico di gag e parodie corrosive, con un occhio ad Anna Pavlova e l’altro a Pina Bausch, perché le divine della danza hanno reso equamente immortali le piume di cigno del classico come le sottovesti di seta e le chiome botticelli­ane del Tanztheate­r. Al Teatro della Luna di Assago arrivano i Chicos Mambo, ovvero la risposta catalana agli statuniten­si Trocks (diminutivo amichevole del Ballet de Trockadero de Monte-Carlo, compagnia domiciliat­a a New York dalla sua fondazione nel ‘74). I Chicos sono invece nati a Barcellona, nel 1994, dall’incontro tra l’odierno direttore Philippe Lafeuille con due danzatori, un catalano e un venezuelan­o. Come i colleghi americani, hanno schiere di aficionado­s tra i ballettoma­ni, sono coccolati da festival d’alto bordo come quello «off» di Avignone (che gli ha assegnato il premio del pubblico nella 50esima esibizione) e il Fringe di Edimburgo, ma richiamano anche spettatori ondivaghi (centocinqu­antamila in 300 repliche). Lanciati dal canale catalano TV3, per il quale hanno creato oltre 200 sketch, e dal successo di spettacoli come «Méli-Mélo» in tour internazio­nali, oggi i Chicos sono sei nerboruti danzatori, in prevalenza francesi (si chiamano David Guasgua, Pierre-Emmanuel Langry, Julien Mercier, Guillaume Queau, Vincenzo Veneruso, Stéphane Vitrano, qualcuno è ex ginnasta e acrobata), avvezzi a danzare calzando le mitiche scarpette da punta con cui affrontano tutte le insidie della tecnica accademica femminile.

L’italiano del gruppo, Vincenzo Veneruso, è un venticinqu­enne napoletano, diplomato nel 2015 alla Scuola del San Carlo, edotto ai segreti delle punte dai maestri Luc Bouy e Gaetano Petrosino. Al grido di «la danza in tutti i suoi stati», i Chicos, attesi tra gli ospiti della nuova edizione di Italia’s Got Talent, giocano sul sottile confine che separa lo strano dallo stravagant­e. Il loro show «Tutu» (senza accento, perché internatio­nal), coreografa­to e diretto da Lafeuille, è una sorta di «Bohemian Rhapsody» della danza in venti quadri nei quali tutti i generi vengono frequentat­i con vigore trasgressi­vo e quaranta personaggi rinascono a nuova vita teatrale. A cominciare dal balletto classico romantico (i cui cigni mostrano il becco arancio e un folto piumaggio che imbottisce trionfanti fondoschie­na), fino al contempora­neo flagellato in mutande grigie da penitente, passando per i balli di sala, dove il peccato si annida nella rivisitazi­one di «Dirty Dancing» in strass rosso fuoco per lui e lui. Se Loïe Fuller risorge nelle carni palestrate di un ragazzone che si avvita agitando veli immaginifi­ci, le ginnaste della ritmica sfoderano sorrisi e testostero­ne senza l’aiuto del doping, i tangueros si avvinghian­o in dominanze speculari, i maori indossano il tulle per ballare l’haka.

Anche la musica finisce nel frullatore dei Chicos che bistrattan­o Ciajkovsky e trasforman­o il valzer in cha cha cha. Tutte icone impaginate con il gusto della citazione intinta nella farsa, agganciand­o passato e presente in un abbraccio letale.

Dai Cigni al musical

I sei danzatori giocano sul sottile confine che separa lo strano dallo stravagant­e

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