LA GAIA SCIENZA BRESCIANA
Non capita spesso di vedere l’aula magna dell’Università degli Studi, in via San Faustino, gremita di studenti e adulti che per un’ora e mezza seguono una «lettura» (a tratti impervia, avvincente sempre) dedicata alle basi neurologiche del linguaggio e della conoscenza. Materia avvincente, materia contigua alla filosofia per i temi profondi e vasti che evoca e in molti casi scioglie. A suscitare tanto interesse è stata la lectio magistralis che la professoressa (bresciana di nascita ma californiana d’adozione) Maria Luisa Gorno Tempini ha svolto su «Neurodiversità e apprendimento». L’occasione della presenza a Brescia e dunque della affollatissima conferenza in San Faustino era la consegna, avvenuta il giorno seguente, del Premio Brescia per la ricerca scientifica 2019 appunto alla professoressa Gorno Tempini. Il che avvalora la felice intuizione di Ateneo di Scienze lettere e arti e di Università degli Studi di istituire questo premio, andato l’anno scorso all’astrofisico Massimo Della Valle e quest’anno alla neuroscienziata Gorno Tempini. Un premio che getta un fascio di luce sul valore della ricerca scientifica e sull’apporto che a essa danno, nelle più diverse discipline, studiosi originari della nostra provincia che poi — qui o nel mondo, secondo appunto la logica «senza frontiere» propria della scienza — scrivono nuove originali pagine, delineano nuovi orizzonti, tracciano percorsi inediti e creativi del sapere umano.
Certo, la materia indagata da Maria Luisa Gorno Tempini è particolarmente affascinante, collocata com’è alla sorgente del nostro pensiero, all’incrocio con il contesto sociale e le prassi educative. Occuparsi del nascere della nostra intelligenza e del suo decadere (Gorno Tempini dirige a San Francisco il Laboratorio di neurobiologia del linguaggio del Centro della memoria e dell’invecchiamento) come pure delle neurodiversità (dirige anche il Centro della dislessia) significa passare dal microscopio a terreni umanamente sensibilissimi. Se poi lo si fa con capacità di sintesi («l’intelligenza non è una, ci sono tante intelligenze») e sensibilità («bisogna proteggere i bambini dal sentirsi sbagliati») allora la scienza incrocia il nostro stesso modo di essere e di rapportarci al mondo. Oggi costringiamo la scienza in liti politiche spesso isteriche: c’è invece una straordinaria domanda di conoscenza, una voglia di incontrare gli scienziati e di interpellarli, di ascoltare l’origine e gli esiti delle loro ricerche. È una domanda largamente inevasa a Brescia, una domanda che interpella le Università e che incrocia le aspirazioni della città come capitale della cultura. È l’attesa di una scienza amica, sollecita, umana. Friedrich Nietzsche, filosofo non certo tacciabile di neopositivismo, sul frontespizio della prima edizione del suo libro «La gaia scienza» pose una frase di Ralph Waldo Emerson: «Per il poeta e per il saggio tutte le cose sono care e venerabili, ogni esperienza è utile, ogni giorno è salvifico, ogni uomo è divino». Molti scienziati potrebbero sottoscriverla ancora oggi. E non solo loro.