Stimamiglio: «Io in pericolo non parlo più»
Stimamiglio, sua la «pista veneta» per piazza Fontana e Brescia: «So molte altre cose»
«Sono senza soldi e in pericolo: non parlo più». Giampaolo Stimamiglio, l’uomo che con la sua testimonianza tiene vivo l’ultimo lembo di indagini su Piazza della Loggia (quelle che vedono indagato Marco Toffaloni) racconta al Corriere come senza più la scorta non dirà più nulla di quello che sa sulla strategia della tensione, da Brescia a Bologna.
«Non è facile trovare il coraggio di andare avanti. Lo Stato mi ha lasciato senza soldi e senza protezione. A questo punto, io non parlo più…».
Pronunciate da Giampaolo Stimamiglio - che negli ultimi due decenni ha collaborato con diverse procure per far luce sui misteri delle grandi stragi che hanno insanguinato il nostro Paese - queste parole faranno saltare sulla sedia più di qualche investigatore.
Padovano, ex affiliato a Ordine Nuovo poi passato nelle fila dei Nuclei di Difesa dello Stato, pur non avendo mai ricevuto neppure un avviso di garanzia, il suo nome spunta in tante inchieste sull’eversione nera.
Qualche esempio. Stimamiglio è il supertestimone grazie al quale la procura di Brescia ha aperto il nuovo filone investigativo sulla bomba del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia: è lui a fare il nome di Marco Toffaloni, il veronese che secondo gli investigatori avrebbe preso parte alla strage.
E fu ancora questo signore di 67 anni a sostenere, di fronte ai magistrati milanesi, la tesi della pista veneta per il massacro di Piazza Fontana, parlando anche dell’esistenza di un casolare nel Trevigiano in cui vennero costruiti gli ordigni per gli attentati del ‘69. Anni dopo, i carabinieri riuscirono non solo a individuare l’abitazione (un rustico nel comune di Paese, affittato a Ventura) ma anche a trovare quelle conferme che nel 2005 avevano portato la Cassazione a ricondurre la mattanza di Milano a «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura». E sempre le sue testimonianze portarono la procura di Venezia, nel 2012, a lavorare all’ipotesi che dietro gli omicidi rivendicati da «Ludwig» si nascondessero altre persone, oltre a Wolfgang Abel e Marco Furlan.
«So tante cose. Molte le ho dette, altre vorrei raccontarle…» assicura seduto a un ristorante, nella piazzetta di un paesino della costa ligure. E intanto fa scivolare sul tavolino un decreto di citazione come «persona informata» firmato il 17 gennaio di quest’anno dal procuratore di Bologna, Giuseppe Amato.
Significa che esiste un nuovo filone investigativo sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione?
«Da quanto so, ha ragione Fioravanti quando dice che lui non c’entra direttamente con la bomba. La tesi, invece, è che la strage di Bologna sia collegata direttamente a quella di Brescia. Ci sono diversi punti di contatto, a cominciare da alcune delle persone che avrebbero avuto un ruolo attivo in entrambi gli attentati. La procura mi ha già convocato tre volte, negli ultimi undici mesi, sempre negli uffici della Digos. A quest’ultimo incontro, però non mi sono presentato».
Per quale motivo? «Perché non hanno organizzato neppure un servizio di scorta: avrei dovuto raggiungere Bologna in treno, tra l’altro anticipando di tasca mia i soldi del biglietto. E io non ho soldi da spendere…».
(Fonti investigative confermano che la procura di Bologna ha aperto un fascicolo conoscitivo che però, in assenza di elementi che consentano di valorizzare la collaborazione di Stimamiglio, pare destinato all’archiviazione)
Che le è successo?
«Ero un collaboratore di giustizia dal giugno del 2011. Significa che avevo accettato di entrare in un regime di protezione che prevedeva l’alloggio in una località segreta, un servizio di vigilanza, una scorta quanto mi spostavo fuori regione. Situazione che si era resa necessaria da quando iniziai a fare i nomi delle persone coinvolte nella bomba di piazza della Loggia. Parlo al passato perché a febbraio 2018 ho ricevuto una lettera firmata dalla Commissione che si occupa proprio dei testimoni e dei collaboratori: annunciava la mia esclusione dal programma. Il risultato è che da sei mesi ho perso ogni tipo di tutela».
Per quale motivo? «Hanno scoperto che non sempre ho avvisato dei miei spostamenti fuori regione».
E perché non l’ha fatto? «Dovevo vedere la mia compagna ma per ottenere le autorizzazioni occorrevano mesi. Avere una relazione stabile rispettando quel tipo di prescrizione, è impossibile. Ma è una violazione risibile, specie se paragonata a ciò che ho fatto in questi anni per aiutare lo Stato a far luce sull’epoca delle stragi. La mia impressione è che abbiano utilizzato questa scusa per farmi fuori: qualcuno a Roma vuole spingermi a non parlare più».
È ciò che accadrà?
«Per forza. In questi anni ho indicato persone e organizzazioni implicate in fatti di sangue: c’è più di qualcuno che sogna di farmela pagare. E allora, perché dovrei continuare a rischiare la vita se lo Stato è il primo a rifiutarsi di proteggermi? Questa intervista la faccio proprio perché le associazioni dei parenti delle vittime siano informate della situazione e possano comprendere i motivi per i quali non collaborerò. Ciò che ho fatto finora, è stato per loro: perché avessero delle risposte. Ma così non ci sono più le condizioni per testimoniare».
Quando dice «lo Stato mi ha lasciato senza soldi», cosa intende?
«Come collaboratore di giustizia avevo diritto a un contributo di 900 euro al mese e a un posto di lavoro, che in realtà non mi hanno mai trovato. Inoltre è prevista l’indennità di reinserimento: in pratica una somma di denaro che serve ad aiutare i collaboratori di giustizia a ricominciare una seconda vita dopo aver trascorso anni sotto protezione. Nel mio caso si parla di 64mila euro. Peccato che, secondo la Commissione, ho perso tutto. Ora vivo con una pensione di 500 euro al mese dalla quale devo detrarre 320 euro di affitto, visto che ho dovuto lasciare anche l’alloggio segreto. Non ho neppure i soldi per fare benzina. Prima abitavo in montagna ma ora, per risparmiare sul riscaldamento, mi sono trasferito a una dozzina di chilometri dalla costa ligure. Abito in un monolocale scalcagnato…».
Torniamo al legame tra la bomba in Piazza della Loggia e la strage di Bologna…
«Posso dire che esiste un sottile filo rosso che lega alcuni dei grandi fatti di sangue dalla fine degli anni Sessanta in poi, e che potrebbe arrivare fino a Unabomber. La tesi, sulla quale già lavorano diverse procure e che ha avuto dei riscontri, è che siano riconducibili allo stesso alveo che coprì epoche e persone diverse: uomini dei servizi segreti, organizzazioni di estrema destra e associazioni legate all’occultismo come Ananda Marga, che aveva sede a Verona e di cui facevano parte mia sorella e altri personaggi più o meno noti».
Ammesso sia andata così, sono passati decenni. Gli investigatori riusciranno a dimostrarlo?
«Alcune delle persone coinvolte sono ancora in vita. Ma se lo Stato non tornerà a offrirmi la protezione di cui ho bisogno, i magistrati dovranno riuscirci senza il mio aiuto».
La strage di Bologna? Da quanto so ha ragione Fioravanti quando dice che lui non c’entra direttamente con la bomba Ho indicato persone e organizzazioni implicate in fatti di sangue: c’è più di qualcuno che vuole farmela pagare