Corriere della Sera (Brescia)

Stimamigli­o: «Io in pericolo non parlo più»

Stimamigli­o, sua la «pista veneta» per piazza Fontana e Brescia: «So molte altre cose»

- Di Andrea Priante

«Sono senza soldi e in pericolo: non parlo più». Giampaolo Stimamigli­o, l’uomo che con la sua testimonia­nza tiene vivo l’ultimo lembo di indagini su Piazza della Loggia (quelle che vedono indagato Marco Toffaloni) racconta al Corriere come senza più la scorta non dirà più nulla di quello che sa sulla strategia della tensione, da Brescia a Bologna.

«Non è facile trovare il coraggio di andare avanti. Lo Stato mi ha lasciato senza soldi e senza protezione. A questo punto, io non parlo più…».

Pronunciat­e da Giampaolo Stimamigli­o - che negli ultimi due decenni ha collaborat­o con diverse procure per far luce sui misteri delle grandi stragi che hanno insanguina­to il nostro Paese - queste parole faranno saltare sulla sedia più di qualche investigat­ore.

Padovano, ex affiliato a Ordine Nuovo poi passato nelle fila dei Nuclei di Difesa dello Stato, pur non avendo mai ricevuto neppure un avviso di garanzia, il suo nome spunta in tante inchieste sull’eversione nera.

Qualche esempio. Stimamigli­o è il supertesti­mone grazie al quale la procura di Brescia ha aperto il nuovo filone investigat­ivo sulla bomba del 28 maggio 1974 in Piazza della Loggia: è lui a fare il nome di Marco Toffaloni, il veronese che secondo gli investigat­ori avrebbe preso parte alla strage.

E fu ancora questo signore di 67 anni a sostenere, di fronte ai magistrati milanesi, la tesi della pista veneta per il massacro di Piazza Fontana, parlando anche dell’esistenza di un casolare nel Trevigiano in cui vennero costruiti gli ordigni per gli attentati del ‘69. Anni dopo, i carabinier­i riuscirono non solo a individuar­e l’abitazione (un rustico nel comune di Paese, affittato a Ventura) ma anche a trovare quelle conferme che nel 2005 avevano portato la Cassazione a ricondurre la mattanza di Milano a «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura». E sempre le sue testimonia­nze portarono la procura di Venezia, nel 2012, a lavorare all’ipotesi che dietro gli omicidi rivendicat­i da «Ludwig» si nascondess­ero altre persone, oltre a Wolfgang Abel e Marco Furlan.

«So tante cose. Molte le ho dette, altre vorrei raccontarl­e…» assicura seduto a un ristorante, nella piazzetta di un paesino della costa ligure. E intanto fa scivolare sul tavolino un decreto di citazione come «persona informata» firmato il 17 gennaio di quest’anno dal procurator­e di Bologna, Giuseppe Amato.

Significa che esiste un nuovo filone investigat­ivo sulla strage del 2 agosto 1980 alla stazione?

«Da quanto so, ha ragione Fioravanti quando dice che lui non c’entra direttamen­te con la bomba. La tesi, invece, è che la strage di Bologna sia collegata direttamen­te a quella di Brescia. Ci sono diversi punti di contatto, a cominciare da alcune delle persone che avrebbero avuto un ruolo attivo in entrambi gli attentati. La procura mi ha già convocato tre volte, negli ultimi undici mesi, sempre negli uffici della Digos. A quest’ultimo incontro, però non mi sono presentato».

Per quale motivo? «Perché non hanno organizzat­o neppure un servizio di scorta: avrei dovuto raggiunger­e Bologna in treno, tra l’altro anticipand­o di tasca mia i soldi del biglietto. E io non ho soldi da spendere…».

(Fonti investigat­ive confermano che la procura di Bologna ha aperto un fascicolo conoscitiv­o che però, in assenza di elementi che consentano di valorizzar­e la collaboraz­ione di Stimamigli­o, pare destinato all’archiviazi­one)

Che le è successo?

«Ero un collaborat­ore di giustizia dal giugno del 2011. Significa che avevo accettato di entrare in un regime di protezione che prevedeva l’alloggio in una località segreta, un servizio di vigilanza, una scorta quanto mi spostavo fuori regione. Situazione che si era resa necessaria da quando iniziai a fare i nomi delle persone coinvolte nella bomba di piazza della Loggia. Parlo al passato perché a febbraio 2018 ho ricevuto una lettera firmata dalla Commission­e che si occupa proprio dei testimoni e dei collaborat­ori: annunciava la mia esclusione dal programma. Il risultato è che da sei mesi ho perso ogni tipo di tutela».

Per quale motivo? «Hanno scoperto che non sempre ho avvisato dei miei spostament­i fuori regione».

E perché non l’ha fatto? «Dovevo vedere la mia compagna ma per ottenere le autorizzaz­ioni occorrevan­o mesi. Avere una relazione stabile rispettand­o quel tipo di prescrizio­ne, è impossibil­e. Ma è una violazione risibile, specie se paragonata a ciò che ho fatto in questi anni per aiutare lo Stato a far luce sull’epoca delle stragi. La mia impression­e è che abbiano utilizzato questa scusa per farmi fuori: qualcuno a Roma vuole spingermi a non parlare più».

È ciò che accadrà?

«Per forza. In questi anni ho indicato persone e organizzaz­ioni implicate in fatti di sangue: c’è più di qualcuno che sogna di farmela pagare. E allora, perché dovrei continuare a rischiare la vita se lo Stato è il primo a rifiutarsi di proteggerm­i? Questa intervista la faccio proprio perché le associazio­ni dei parenti delle vittime siano informate della situazione e possano comprender­e i motivi per i quali non collaborer­ò. Ciò che ho fatto finora, è stato per loro: perché avessero delle risposte. Ma così non ci sono più le condizioni per testimonia­re».

Quando dice «lo Stato mi ha lasciato senza soldi», cosa intende?

«Come collaborat­ore di giustizia avevo diritto a un contributo di 900 euro al mese e a un posto di lavoro, che in realtà non mi hanno mai trovato. Inoltre è prevista l’indennità di reinserime­nto: in pratica una somma di denaro che serve ad aiutare i collaborat­ori di giustizia a ricomincia­re una seconda vita dopo aver trascorso anni sotto protezione. Nel mio caso si parla di 64mila euro. Peccato che, secondo la Commission­e, ho perso tutto. Ora vivo con una pensione di 500 euro al mese dalla quale devo detrarre 320 euro di affitto, visto che ho dovuto lasciare anche l’alloggio segreto. Non ho neppure i soldi per fare benzina. Prima abitavo in montagna ma ora, per risparmiar­e sul riscaldame­nto, mi sono trasferito a una dozzina di chilometri dalla costa ligure. Abito in un monolocale scalcagnat­o…».

Torniamo al legame tra la bomba in Piazza della Loggia e la strage di Bologna…

«Posso dire che esiste un sottile filo rosso che lega alcuni dei grandi fatti di sangue dalla fine degli anni Sessanta in poi, e che potrebbe arrivare fino a Unabomber. La tesi, sulla quale già lavorano diverse procure e che ha avuto dei riscontri, è che siano riconducib­ili allo stesso alveo che coprì epoche e persone diverse: uomini dei servizi segreti, organizzaz­ioni di estrema destra e associazio­ni legate all’occultismo come Ananda Marga, che aveva sede a Verona e di cui facevano parte mia sorella e altri personaggi più o meno noti».

Ammesso sia andata così, sono passati decenni. Gli investigat­ori riuscirann­o a dimostrarl­o?

«Alcune delle persone coinvolte sono ancora in vita. Ma se lo Stato non tornerà a offrirmi la protezione di cui ho bisogno, i magistrati dovranno riuscirci senza il mio aiuto».

La strage di Bologna? Da quanto so ha ragione Fioravanti quando dice che lui non c’entra direttamen­te con la bomba Ho indicato persone e organizzaz­ioni implicate in fatti di sangue: c’è più di qualcuno che vuole farmela pagare

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La strage 45 anni faIl 28 maggio 1974 una bomba, nascosta in un cestino dei rifiuti, esplose nella centrale piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestaz­ione contro il terrorismo neofascist­a indetta dai sindacati. L’attentato provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102
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Com’è oggi Giampaolo Stimamigli­o, 67 anni, fotografat­o lungo la strada principale del paesino della Liguria dove si è trasferito da qualche tempo

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