Nella «Persepoli» di Pignatelli in bilico tra contemporaneo e antico
Una testa femminile, «trafugata» alla statuaria classica, sembra svanire, inghiottita dal tessuto consunto e lacero su cui è stata impressa: la sua opera è un’allusione alla società occidentale, asservita all’egemonia dell’occhio. In Santa Giulia, Luca Pignatelli — collezionista di reliquie, strati di storia respinti e relitti su cui interviene con stratificazioni, suture e sovrapposizioni — ha esposto Persepoli (2018), il tappeto persiano su cui ha impresso il volto scultoreo di una donna che ha scandalizzato il Tefaf, la fiera d’arte di Maastricht (l’hanno accusata di blasfemia): domenica, alle 17.45, ne parlerà durante una conversazione al museo con Albano Morandi, suo collega e direttore del Mo.Ca (prima, alle 17, è prevista una visita guidata). È l’evento organizzato per il finissage della mostra Porti Possibili. 6 artisti per l’accoglienza. Dalla Collezione San Patrignano — Work in progress, allestita nella basilica di San Salvatore da Brescia Musei con Loggia e fondazione San Patrignano. Ossessionato dal recupero di tracce del passato e materia negletta — teli dei convogli, legni, ferri, carte e tappeti — Pignatelli spoglia le illusioni: «La testa si sovrappone agli elementi decorativi del tappeto — ha detto — e, tra questi, sembra svanire; ci sembra di vedere contemporaneamente tutti gli elementi ma di fatto li vediamo in sequenza alternata. A questo aspetto bisogna aggiungere che, normalmente, quello che vediamo non è la realtà, perché ciò che percepiamo — la realtà esterna di cui prendiamo coscienza tramite i sensi — è diverso da ciò che l’oggetto rappresenta e che viene ricostruito dal nostro occhio nel cervello». (a.tr.)