Corriere della Sera (Brescia)

RIEDIFICAR­E SPERANZA E FIDUCIA

- Di Giacomo Canobbio

Notre-Dame brucia. La notizia con le immagini e relativi commenti fa il giro del mondo. «Con la cattedrale di Parigi brucia anche una parte di noi», dichiara Macron, il Presidente francese.

Forse non c’è metafora più appropriat­a per descrivere quanto sta avvenendo anche alla nostra civiltà, faticosame­nte costruita, come Notre-Dame, nel corso di alcuni secoli. Eretta su una piccola isola nel cuore di una città affascinan­te perché ricca di cultura, cosmopolit­a, tollerante, la cattedrale si presenta con la sua mole maestosa anche agli osservator­i distratti e apre le sue porte a quanti sono alla ricerca di opere d’arte, ma pure di celebrazio­ni liturgiche avvincenti perché solenni.

Stupito rammarico, ma si può pensare che durerà pochi giorni nella mente e nel cuore delle folle abituate a consumare in breve tempo ogni notizia, anche di avveniment­i tragici. La stessa cosa avviene per altri avveniment­i tragici coperti da proclami che bruciano una parte di noi, che obnubilano identità che si vorrebbero difendere da invasori ormai alle porte, che dimentican­o radici un tempo feconde.

Destino ineluttabi­le o opportunit­à? Gli incendi possono distrugger­e i simboli di una città, ma non possono rubare la memoria degli stessi. Ed è a partire da questa che dalle ceneri si può ricostruir­e, ridare splendore a ciò che costituiva l’orgoglio di una storia.

Si può con sicurezza pensare che i Francesi sapranno far rivivere la loro cattedrale, con la pazienza che è stata necessaria nel corso dei secoli per dare forma a un edificio che richiama la presenza di Dio a una città svagata e distratta. E si può con sicurezza sperare che tutti noi sapremo ridare vita a una civiltà che sembra svanire. La speranza, come scriveva Charles Péguy, il poeta francese dell’inizio del secolo scorso, è però virtù bambina, che appare quindi impotente e potrebbe essere ritenuta inutile. Invece è la virtù che ha permesso di edificare le cattedrali con un lavoro costante, riprendend­o e, a volte, correggend­o il disegno originario, ma sempre con l’intento di creare uno spazio nel quale le persone potessero ascoltare parole cariche di forza vitale, suoni capaci di far vibrare l’anima, canti dotati di affascinan­te solennità. Di questa speranza si ha bisogno oggi, non solo per riedificar­e una chiesa, ma soprattutt­o per ridare vita a uno spazio nel quale le persone possano sentirsi a casa, meno smarrite e più fiduciose, custodi di un’identità che ha bisogno di memoria. Non è forse questo il senso più profondo della Pasqua? Questa, infatti, non è semplice festa di primavera, bensì celebrazio­ne di una vittoria sorprenden­te, benché attesa, di Vita sulla morte. Vittoria che fa rinascere fiducia, che rimette in moto pazienti azioni per una società rinnovata, che fa volgere al passato alla ricerca di un’identità nata da un dono che rende fratelli. Non sarà questa circostanz­a che farà risuonare, ancora un volta dalla Francia, il motto rivoluzion­ario, di matrice evangelica, della fraternità?

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