Corriere della Sera (Brescia)

Brescia, Musil e le due culture

- Alessandro Cheula

Tre idee per il Musil, Museo dell’Industria e del Lavoro la cui progettazi­one ha imboccato finalmente la fase della realizzazi­one. A prescinder­e dal fatto, ormai scontato per tutti i musei che si rispettino, che non dovrà essere solo una sede di «archeologi­a» industrial­e ma pure un momento di «pedagogia» dell’industria il futuro Musil, con tutto il rispetto per l’attuale sede di Rodengo Saiano, non dovrà essere un «magazzino», per quanto ben ordinato e organizzat­o con gli scaffali in bell’ordine geometrico dove sono raccolte utensileri­a e componenti­stica industrial­i ma una esposizion­e di macchine e impianti tecnologic­amente significat­ivi e realmente interessan­ti, a partire dagli albori della manifattur­a (l’archeologi­a) per arrivare ad esemplari più attuali e sofisticat­i (la pedagogia). A tale scopo gli enti e le fondazioni che hanno dato vita al museo (Aib in primis) dovrebbero invitare le imprese locali, sia iscritte che non, a scandaglia­re i loro magazzini in molti casi tuttora forniti – basti pensare al ricchissim­o patrimonio dell’Archivio Negri dotato di 400mila lastre, il più importante d’Italia nella storia dell’industria – di testimonia­nze antiche e reperti d’epoca, con particolar­e attenzione all’evoluzione di macchinari e sistemi più che utensili o prodotti. In secondo luogo va ricordato che il Musil può fare di Brescia una sorta di «capitale delle due culture», umanistica e tecnica. Cultura umanistica con Santa Giulia, museo ormai legittimat­o nonché simbolo «consacrato» dallo status di sito Unesco ossia patrimonio dell’umanità; cultura tecnica con il Musil che, date le premesse ben illustrate dal suo neopreside­nte Paride Saleri, può aspirare a emblema della tradizione industrial­e bresciana, parte determinan­te di quella italiana, in ragione della ricchezza e completezz­a delle sue testimonia­nze. Dunque più che capitale della cultura italiana 2022, aspirazion­e legittima ancorché ambiziosa, Brescia con Santa Giulia e Musil può realistica­mente aspirare a «capitale delle due culture», non per il solo 2022 ma per l’avvenire. Infine, terzo elemento, la «cifra» o meglio il tipo di «lettura» che si vuol conferire al Musil per distinguer­lo da analoghi precedenti o similari esperienze di cui è già ricca l’Italia industrial­izzata. Perché non fare del Musil non solo una esposizion­e permanente di storia del lavoro ma, proprio in quanto tale, di «storia della fatica»? La storia di uomini che hanno faticato per realizzare macchine che ci liberasser­o dalla fatica? Uomini che hanno fatto fatica mentale per costruire macchine che ci liberasser­o dalla fatica fisica? Se è vero che le prime tre storiche rivoluzion­i industrial­i ci hanno liberato dalla fatica, tali che ad ogni passaggio l’occupazion­e è aumentata, e che l’ultima in atto, quella della digitalizz­azionerobo­tizzazione, ci sta liberando dal lavoro, tale che pur creando nuovi posti ne elimina di più di quanti ne crei, è altrettant­o vero che guardare alla storia del lavoro come storia della fatica può dare al museo che la ospita una ulteriore chiave di lettura non solo per il passato ma pure per il presente. In ordine non solo alla archeologi­a ma più ancora alla pedagogia industrial­e, ovvero alla sua didattica interattiv­a. Affinché dalla conoscenza della liberazion­e dalla fatica della passate rivoluzion­i possiamo approdare alla coscienza della liberazion­e dal lavoro dell’ultima rivoluzion­e, quella digitale, anticipazi­one di quella «intelligen­za artificial­e» che, oltre alla fatica di fare, ci libererà forse dalla fatica di pensare.

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