Un’Aida «intima» nel segno di Zeffirelli
Gigante
Zeffirelli era tutto: nessuno può eguagliarlo, aveva un approccio a 360 gradi alla lirica. La sua scomparsa ha segnato la fine del Rinascimento
Il lato intimo di Aida. Ultimo titolo della stagione lirica del Teatro Grande, l’Aida di Giuseppe Verdi nell’ormai storico allestimento realizzato da Franco Zeffirelli nel 2001 per il piccolo teatro di Busseto, arriva a Brescia domani (ore 20.30; in replica domenica 8 alle 15,30). La ripresa è affidata a Stefano Trespidi, allievo del grande regista e appassionato custode della sua memoria («Sono felice e orgoglioso di avere la missione di tenere alto il nome del maestro», dice). Come sarà questa Aida? «È uno spettacolo di cui sono innamorato: l’ho ripreso in tutto il mondo in questi anni ed è anche l’allestimento che segna l’inizio della mia collaborazione con Zeffirelli, perché all’epoca gli feci da assistente volontario. Questa Aida vuole anche essere un omaggio alla sua memoria: è la prima ripresa di un suo spettacolo dopo la sua scomparsa».
Come si è approcciato a questo lavoro? «Come sempre: seguendo l’impostazione originale e con grande spirito di servizio. Chiaro che, rispetto alle precedenti edizioni, ci possono essere piccole differenze, ma è normale quando si ha a che fare con interpreti diversi, ciascuno dei quali ha un proprio mondo fisico ed emotivo». Si è detto che con questa Aida è stato riscoperto il lato intimistico di un’opera solitamente associata alla dimensione trionfale. «In realtà da sempre i musicologi hanno sottolineato la dimensione intima di diverse pagine del capolavoro verdiano. Ma un conto è scriverne, un altro è realizzarlo. La cosa nuova è realizzare ciò che tutti hanno sempre detto, con quella sapienza e capacità che erano proprie di Zeffirelli. Tutto questo, senza cancellare o sacrificare l’aspetto trionfale, che resta. Il poco e il bello nel piccolo diventano comunque grandi, trionfali». Qual è l’eredità di Zeffirelli per la cultura italiana? «Con una battuta potrei dire che con la scomparsa di Zeffirelli è finito il Rinascimento italiano. Il suo lascito è il fatto di essere stato l’ultimo che incarnava la conoscenza e la cultura nel senso più ampio. Era regista di cinema, teatro, opera, era scenografo, costumista e light designer, si intendeva di voci... In un certo senso era tutto: per lui un cantante non si esauriva nella sua voce, ma era anche attore e in quanto tale lo metteva sempre e comunque al centro. Nessuno può arrivare alle sue capacità. Aveva un approccio alla lirica a 360 gradi, come fenomeno culturale che non esaurisce la sua funzione nella sera della messa in scena ma germoglia nella bellezza che ti porta, negli interrogativi che fa nascere». Lei curerà anche l’ultimo lavoro di Zeffirelli, il Rigoletto che andrà in scena a Muscat, in Oman, nel settembre 2020, dove è direttore artistico il bresciano Umberto Fanni. «Mi piace scherzosamente chiamare Fanni pontifex, perché in Oman sta facendo uno straordinario lavoro come creatore di ponti culturali. Gli sono grato perché ha avuto l’intelligenza di far maturare e portare a compimento un progetto nato alcuni anni fa, un’opera d’arte di cui tutti potranno godere».