Meningite, sette indagati
Sono i medici del Civile che avevano preso in cura Veronica Cadei
Sono sette i medici indagati dalla procura di Brescia per omicidio colposo per la morte di Veronica Cadei, la studentessa 19enne della Cattolica, morta martedì mattina all’ospedale Civile, nemmeno a 24 ore dal ricovero. La ragazza è stata uccisa da una meningite da meningococco di tipo C. I familiari della ragazza, che vive a a Villongo, vogliono fare chiarezza sul decesso della loro figliola e si sono rivolti a un avvocato: «Se qualcuno ha sbagliato, deve pagare» continua a ripetere la mamma Debora.
Aveva solo 19 anni, Veronica Cadei. Proiettati al futuro ma giustamente immersi nel suo presente: le lezioni in Cattolica — dove era iscritta al primo anno di Scienze matematiche, fisiche e naturali — ma anche un lavoro nel fine settimana al bar Mikò a Sarnico, sul lago d’Iseo, la passione per i numeri, l’amore per gli animali. E la sua adorata famiglia. Insieme a mamma Debora, papà Paolo e la sorella minore Nicoletta viveva a Villongo (Bergamo). Ma è morta martedì mattina presto al Civile, uccisa da una meningite fulminante in poche ore, dopo essere stata accompagnata da un compagno di studi in pronto soccorso, il pomeriggio precedente: accusava un malessere anomalo. Ma non preoccupante. «Sintomi aspecifici» potenzialmente riconducibili anche a una sindrome influenzale, ipotizzerà chi la vedrà al triage. Ma le conseguenze — «tanto improvvise quanto imprevedibili» — sono state fatali.
E adesso, non solo i genitori di Veronica, ma anche la magistratura vuole vederci chiaro. Per escludere o meno eventuali responsabilità in questa vicenda drammatica. Il sostituto procuratore Lorena Ghibaudo ha aperto un’inchiesta sulla morte della studentessa: sette persone sono state iscritte nel registro degli indagati per omicidio colposo (due medici del pronto soccorso, uno della rianimazione cardiochirurgica, una della seconda rianimazione, una degli infettivi, due cardiologi, uno di emodinamica).
Un atto dovuto e di garanzia, come sempre in casi simili, affinché tutti possano partecipare (anche nominando un proprio consulente) agli accertamenti tecnici o irripetibili. Come l’autopsia, disposta dalla stessa procura per stabilire l’esatta causa del decesso, quindi con tutte le analisi istologiche specifiche. Non c’è stato il tempo di salvarla, Veronica. Il suo organismo era già compromesso. «Meningite da meningococco» di tipo C, riporta il certificato di morte.
Molto probabile pure che la procura nelle prossime ore decida di convocare i genitori di Veronica per sentirli, e capire cosa e quanto sia stato detto loro in ospedale, nel tentativo di ricostruire con precisione anche i passaggi clinici. Diagnosi quantomeno ipotizzate e dette, se non scritte. Perché stando al racconto della signora Debora, partita dalla provincia di Bergamo insieme al marito per raggiungere la figlia al pronto soccorso, lunedì pomeriggio, in ospedale avrebbero detto loro potesse trattarsi di una forma influenzale, di una gastroenterite. È vero, in quel momento Veronica non presentava sintomi allarmanti, né preoccupanti e in serata, dopo le flebo, stava un po’ meglio.
In università invece non si sentiva bene affatto. Tanto che sono stati gli amici, vedendo che la situazione non migliorava, a insistere e consigliarle di farsi dare un’occhiata in pronto soccorso, là dove uno di loro l’ha accompagnata. L’hanno trattenuta in osservazione breve intensiva. Ma nel giro di poche ore il quadro clinico è precipitato, nonostante gli antibiotici. Fino a quando sul suo corpo è comparso un rush cutaneo intenso, che ha fatto sospettare una sepsi diffusa. E il suo giovane cuore ha iniziato a cedere: Veronica è stata trasferita nel reparto di rianimazione cardiochirurgica e attaccata a un Ecmo — il macchinario per la circolazione sanguinea extracorporea — ma nemmeno tutte queste procedure sono bastate per evitare il peggio. Ecco gli esiti dell’esame del liquor: meningococco. Troppo tardi.