Tir in fiamme, la mano della mafia
Un’imputazione insolita, negli atti processuali: associazione di stampo mafioso. Per la precisione, ‘ndrangheta. La contesta il pm Claudia Moregola ai dodici imputati in abbreviato, per i quali ha chiesto condanne che vanno dai 4 ai 13 anni. A vario titolo: estorsione, minacce, incendio. Il loro minimo comune denominatore porta a Bergamo, dove saranno celebrati per competenza i dibattimenti a carico degli altri cinque indagati, ma l’inchiesta è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Brescia. Qui dove vivevano anche alcuni membri del gruppo di calabresi finiti nei guai dopo l’incendio di sei tir a Seriate, nel 2015. Per la Dda si tratta di un’associazione criminale di stampo ‘ndranghetista, attiva in questo distretto, «caratterizzata da autonomia programmatica, operativa e decisionale rispetto alla cosca dei Franco e dei Tegano-Stefano, cui risulta legata da rapporti soggettivi, federativi o da alleanze». Sul piatto ci sono estorsioni, intimidazioni, ricariche di denaro «sporco» sulle Postepay degli affiliati, e il recupero crediti per conto di un’azienda di ortofrutta di Azzano (Bg). Per pagare i debiti qualcuno ha ceduto anche i gioielli di famiglia.
All’origine il rogo di sei tir dellaPpb Servizi& Trasporti a Seriate, nella notte del 6 dicembre 2015. Per l’accusa uno dei calabresi danneggiò la Ppb per fare in modo che una nota azienda bergamasca di ortaggi si affidasse a lui. E per difendersi il titolare della Ppb a sua volta si era rivolto a un altro calabrese. Come una catena. Criminale. (m.rod.)