Micheletti, il pioniere
L’ideatore del Musil commemorato a venticinque anni dalla scomparsa
Nel 1974, poco prima che Saigon cadesse in mano ai Vietcong, in compagnia di un finanziere bergamasco si recò nella capitale del Vietnam del sud per partecipare a un’asta miliardaria di materiale bellico americano. Gli fecero capire che era deciso che se lo aggiudicassero i cinesi, e lui capì l’antifona. Però l’uomo aveva fegato, e rinunciò solo alla fine.
Gino Micheletti era fatto così: il fondatore dell’archivio storico, che oggi porta il suo nome, era capace di gesti avventurosi
Pierangelo Ferrari «Intelligentissimo, popolano, era figlio della Resistenza e di Campo Féra»
e relazioni immediate. Era a suo agio sia nel «circolino» di campo Féra che nei convegni accademici. Coraggioso e determinato. Popolano e visionario. Rispettato dagli intellettuali ma capace di sovvertirne cliché e luoghi comuni. Micheletti, morto 25 anni fa a 67 anni, è stato commemorato ieri nella «sua» Fondazione, in via Cairoli, presente un folto gruppo di amici. Denominatore comune: i capelli bianchi.
«Aveva equilibrio , non era un fanatico» aveva detto il nemico di un tempo, l’ex Federale di Brescia Gianni Comini, in una video-intervista registrata anni fa. Pierangelo Ferrari, già segretario provinciale del Pci e deputato del Pd, ha accostato il ricordo di due “grandi vecchi” legati da stima e amicizia: Renato Borsoni e Gino Micheletti. «Micheletti era figlio della Resistenza, ma non ne faceva un feticcio. Era figlio di Campo Féra, esuberate, sanguigno, popolare, intelligentissimo. Ha lasciato alla città un patrimonio inestimabile, la sua biografia va raccolta».
Alcuni spezzoni li ha raccontati ieri Pierpaolo Poggio, l’intellettuale che con Micheletti ha lavorato fianco a fianco vent’anni, da quando insieme concepirono l’idea di fare a Brescia qualcosa di simile alla Fondazione Feltrinelli. È stato Poggio a raccontare l’episodio vietnamita da cui siamo partiti. Prima della globalizzazione c’erano quelli come Micheletti che per orizzonte avevano il mondo, per canone la curiosità, per stile l’apertura mentale. Nascono da lì alcune delle amicizie più avventurose di Micheletti: quella con Eugenio Battisti, eretico in Italia e venerato negli Usa; quella con William Deakin, ex agente inglese, ghostwriter di Churchill, che Micheletti conquistò portandolo per trattorie bresciane; quella con Kenneth Hudson, giornalista della BBC e profeta dell’archeologia industriale.
Paolo Corsini, che Micheletti scherzava paternamente con l’appellativo di «santificetur», ha ricordato il rapporto quasi filiale con «Gino», la sua «grande umanità», la sua passione «civile e militante», «l’insospettabile capacità di tenerezze», ma anche la sua capacità si scardinare i pregiudizi storiografici: «Con i suoi convegni ha aperto gli occhi agli storici italiani sulla Rsi, che prima era argomento tabù, e ha sdoganato a sinistra, insieme a Claudio Pavone, il concetto di “Guerra civile”». Punto di riferimento di giovani studiosi, ha allargato il concetto di fonte storica, dai film alle fonti orali. Come ricordarlo, ora e per il futuro? «Coronando il suo grande sogno — ha risposto l’attuale presidente della Fondazione Micheletti, Aldo Rebecchi — Realizzando il Musil».
"
Poggio
Dal Vietnam a Battisti, da Deakin a Hudson, sapeva tessere relazioni con tutto il mondo
"
Corsini
Una straordinaria umanità, e poi sapeva rompere steccati storici all’apparenza invalicabili