«Casa dolce casa» Un’odissea urbana nei luoghi del disagio
Sentirsi a casa: è un modo di dire che significa lo star bene un in luogo protetto e confortevole, dove possiamo coltivare e apprezzare la nostra intimità, lo spazio vitale. La raccolta delle lettere di Flannery O’Connor, una delle grandi scrittrici americane (La saggezza del sangue) si intitola non a caso The Habit of Being, ovvero L’abitudine di essere, dove per essere si intende non l’ordinario, bensì la qualità del quotidiano. È uno di quei concetti questo, che comprendiamo meglio, proprio quando ci vengono a mancare.
Casa dolce casa è il titolo di un documentario nato da un progetto ideato da Fabbrica Sociale del Teatro, sostenuto da Fondazione della Comunità Bresciana attraverso il bando Brescia città del noi 2018, che racconta l’esperienza fatta da Emma Mainetti, Roberto Capaldo e Patrizia Volpe con la regia efficace di Nicola Zambelli: stasera alle ore 19 verrà presentato al Nuovo Eden. I testimoni narranti hanno compiuto una piccola odissea urbana in tre luoghi del disagio (la casa di riposo per anziani di Fondazione Casa di Industria onlus, il dormitorio San Vincenzo De Paoli che ospita i senzatetto, l’asilo notturno San Riccardo Pampuri Fatebenefratelli onlus che accoglie sia i senza tetto che i migranti richiedenti asilo). Sulla scorta della fiaba dei Tre porcellini, gli intervistati, pur nella diversità dei reciproci background, riflettono sul senso della casa. Ne esce uno spaccato dolente, ma non per questo chiuso alla speranza del futuro. Con la vita ci si può far male, ci si taglia, ma l’emarginazione degli altri, certe storie di abbandono, di solitudine e di indifferenza, sono lo specchio impietoso di una insensibilità sociale, di una mancanza di prossimità. Se c’è un fuoco — simbolo di calore di affetti e assistenza — i lupi cattivi girano al largo. all documentario, poco più di venti minuti, segue un momento di condivisione. (n.d.)