Professionisti compiacenti La marcia in più per le mafie
Semestrale Dia: «A fianco dei sodali sempre più colletti bianchi»
«Legata» alla matrice in patria — al sud o all’estero che sia — o autonoma e radicata nel nuovo territorio scelto per mettere radici, da far attecchire dentro il tessuto economico e talvolta istituzionale locale. E, soprattutto, che può contare sulla collaborazione di esperti e professionisti. La nuova mafia funziona anche così. Pure a Brescia. A dimostrarlo sono le tante operazioni e inchieste sulle infiltrazioni della criminalità organizzata che a Brescia — quando non l’hanno sfiorata o comunque coinvolta — sono addirittura germogliate. E sono tutte nella relazione semestrale (da gennaio a giugno 2019) della Direzione investigativa antimafia. Tra le costanti nelle indagini che hanno riguardato anche la Lombardia, appunto, emerge proprio la «disponibilità di professionisti compiacenti, asserviti nel nome di convergenze affaristico-criminali, risultati determinanti per l’opeeuro ratività della criminalità mafiosa». presenza che si inserisce «in una più ampia strategia mafiosa (sempre meno incline a manifestazioni eclatanti) che si avvale dei processi di globalizzazione» i quali da una parte hanno potenziato le opportunità di sviluppo per le imprese legali» e di contro hanno «facilitato l’espansione delle mafie sui mercati internazionali». Sfidare la mafia, stando all’analisi della Dia, significa «puntare a individuare gli obiettivi “imprenditoriali” delle organizzazioni proprio in una visione internazionale».
Anche la recente maxi operazione Leonessa condotta dalla nostra Dda sulla presenza di una «locale» della Stidda gelese dedita alla compravendita di fittizi crediti d’imposta per centinaia di migliaia di anche a Brescia lo conferma: al fianco dei sodali ci sono sempre più colletti bianchi. Nei guai, di nuovo, è finito anche Rosario Marchese, imprenditore siciliano trasferito sul Garda e ritenuto fiancheggiatore del clan gelese dei Renzivillo: nel febbraio 2019 era sorvegliato speciale, fu indicato come «imprenditore e consulente specializzato in molteplici settori finanziari, totalmente asservito alle relative esigenze operative», al fine di assicurare la realizzazione del predominio imprenditoriale, anche con meccanismi di «pulitura» di ingenti quantità di denaro proveniente dalle attività illecite. Al suo fianco la moglie, a cui erano intestate diverse attività commerciali. Sotto sequestro finirono beni per 15 milioni di euro.
Il narcotraffico resiste. Risale al giugno 2019 l’operazione «Edera», coordinata dalla Dda di Reggio Calabria: tra Calabria, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, nonché in Olanda, Francia e Colombia si esegue una misura cautelare a carico di 31 indagati per associazione finalizzata al traffico e alla detenzione di sostanze stupefacenti. Coinvolte le province di Milano, Bergamo e Brescia, dove, tra febbraio e maggio 2011,operano i componenti del ramo lombardo del sodalizio ai quali, tuttavia, non è stata contestata l’aggravante del metodo mafioso: sono accusati di aver smerciato carichi notevoli di cocaina, tra cui una partita giunta nel febbraio 2011 dalla Calabria a Rudiano, fornita da un componente della famiglia san lucota dei Giorgi «Ciceri». E resiste — spesso proprio connessa agli stupefacenti — pure la «vocazione transnazionale» delle organizzazioni straniere operative nell’Italia del nord. Operazione Metropilis: sempre in febbraio i carabinieri di Brescia arrestano 30 cittadini albanesi, 2 tunisini e 7 italiani, per traffico e spaccio di stupefacenti nel bresciano, ma anche a Milano, La Spezia e a Venezia, con estensione delle attività illecite in Olanda.
Capitolo ambiente. Le indagini degli ultimi tempi portano a ritenere superate le tradizionali rotte e la vulgata per cui i flussi di rifiuti vanno dal nord «produttivo» al sud «discarica». Molte le inchieste che negli ultimi anni hanno confermato come le consorterie mafiose, soprattutto calabresi, invertendo la direttrice, hanno proiettato il traffico illecito di rifiuti verso il nord Italia. Ne derivano, spesso, gli incendi dei rifiuti sversati illegalmente nei capannoni, che hanno fatto emergere un “metodo” che ha come filo conduttore la massimizzazione dei profitti.In questo contesto, il 7 luglio 2017 il Noe di Milano concluse un’indagine coordinata dalla Dda di Brescia e originata da un rogo che si sviluppò il 15 ottobre 2014 all’interno di un capannone di Rezzato. Ne emerse una «strutturata organizzazione che smaltiva illecitamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali da Giugliano in Campania e Tufino, generando profitti illeciti per oltre 10 milioni di euro.In manette finì anche un imprenditore di Vobarno.