Il dolce rumore della vita di Penna e i cori dello stadio di Mompiano
Da quando mio figlio ha iniziato a scrivere, porta spesso con sé un piccolo quaderno. Ci scrive sopra alcune lettere, delle parole, le ricalca che se ne vede l’ombra anche sul foglio dietro. Poi rimette a posto il quaderno nello zaino.
Un giorno, mi ha chiesto: - Papà, dimmi una frase. - Una frase? Di che tipo? - Una frase così, da scrivere sul mio quaderno.
- Ecco, scrivi questa: Io vivere vorrei addormentato, entro il dolce rumore della vita.
Lui mi ha detto: - Ma che frase è? Cosa vuol dire?
- È una poesia di Sandro Penna. Secondo te cosa vuol dire?
- Non lo so, sono piccolo.
- È una poesia, vuol dire quello che vuoi, magari non vuol dire niente, ma senti com’è bella? Io vivere vorrei addormentato, entro il dolce rumore della vita. Avrei potuto dirti che so, Mario mangia la mela, ma vuoi mettere?
- Ma intendi Mario Balotelli che mangia la mela?
- No, Mario in generale. Così mi è venuto in mente, nonostante avessi un po’ di febbre come in quel racconto di Sandro Penna, quando diversi anni fa giravo a caso in bicicletta lungo le strade di Brescia, fino a che non ero stufo e mi fermavo allora in uno dei parchi della città a leggere da solo, tanto che i miei amici, Gabriele in particolare, quando non sapevano dove trovarmi (non ci crederete, ma i telefonini non esistevano o comunque non erano così diffusi, la follia collettiva dello stare sistematicamente aggrappati a un altrove, spesso per futili motivi, era al massimo immaginabile) venivano diretti al parco, i miei amici intendo, soprattutto quello di Mompiano; mi trovavano che leggevo, e io allora chiudevo il libro e parlavamo di scrittori, cinema o ragazze, con Gabriele. Come se non bastasse, avevo preso una maglietta grigia dall’armadio e l’avevo dipinta con la scritta verde: «Commando Ultrà Sandro Penna».
Mio figlio ha scritto la frase, poi ha messo via il quaderno. Mentre dal parco di Mompiano sentivamo le grida, i movimenti e i lampi della partita, ho sperato che i versi di Penna potessero diventare di dominio pubblico, tanto da ritrovarli sulla bocca di tutti: allo stadio, come un coro, oppure come un saluto, stupefacente, da rivolgere al primo incontro capitato per strada. Io vivere vorrei addormentato, entro il dolce rumore della vita. Dei versi in grado di direzionare umori, scardinare usi, rompere la monotonia. E ho capito che la febbre può, dopo tutto, essere utile a far della poesia. E che la poesia non serve a niente, e proprio per questo è indispensabile.
Sandro Penna, Un po’ di febbre, 1940