BRESCIA NON È TURISTICA
Rassegnamoci. Brescia non è una città di turismo. Ne abbiamo la condizione,un patrimonio culturale inestimabile, dal Cidneo a Santa Giulia, ma non ne coltiviamo la vocazione che potenzialmente è in tutti i siti che hanno, come noi, depositi di storia. La nostra città nell’immaginario delle centinaia di migliaia di turisti che la lambiscono sui laghi a pochi chilometri da piazza Loggia, continua ad essere percepita come una terra di manifattura, un luogo industriale. Da noi, anche quando capita,il turismo ha un tempo capovolto. Le poche occasioni di incrocio del fenomeno, i giorni della Mille Miglia, la fiera della caccia quando c’era, le grandi mostre nazional popolari alla Goldin quando si organizzavano erano tutte un tempo capovolto del turismo, con gestione nella stagione bassa.
Nei mesi di eccellenza, quelli estivi, la città è deserta di turismo, un vuoto metafisico. Anche perché, confessiamolo, il turismo come segmento di sviluppo economico ci ha sempre interessato poco. Sì ci sollecita l’idea di una immagine da città culturale, ma tradurla in economia turistica il salto è lungo. Servono investimenti e poi scelte e operazioni di marketing. Non abbiamo mai scelto su quale tipologia di turismo puntare. Quella della visita quotidiana, la gita obbligata dei turisti gardesani, per il cui obiettivo forse basterebbe l’estate una grande occasione (mostra o simili) organizzata solo con quell’intento, per quel pubblico, per quel mercato.
Quella della residenzialità culturale, un campus con cinquecento posti letto dove d’estate si svolgono summer school europee per simile dimensione. Quello del circuito delle città lombarde, con qualche ostello e almeno un camping nel parco delle cave. Quello dei grandi siti culturali per i quali serve un qualche mito storico (non abbiamo mai esaltato la storia di Ermengarda in Santa Giulia, uno dei luoghi più affascinanti di Lombardia). Lì e nei dintorni fino al teatro romano potrebbe avere luogo un festival estivo (qualcosa di simile aveva pensato Renato Borsoni) sul teatro e sulle arti al tempo dei Longobardi. Senza dire di quante suggestioni, dopo la consolidata esperienza dei giochi di luce, offre il castello d’estate, dove le poche cose che accadono, cominciando dal cinema d’autore, hanno così successo. Ma insomma sono tutti spunti per un futuro: quando il turismo ci servirà, sarà utile, diventerà un campo di lavoro. Per intanto forse va bene così. Girare in solitario in questi giorni piazze e musei, chiese e monumenti, è un privilegio. Forse è questo il segreto che ci sfugge per capire il perché della desertificazione turistica: il desiderio forte della città di conservare un privilegio.