Corriere della Sera (Brescia)

«Era buona Chi può averla uccisa così?»

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«Chi? La Kekka, massacrata di botte? Ma come si fa a fare una cosa così cattiva ad una persona così buona?». Scuote la testa e appoggia i pugni sul bancone un uomo sulla sessantina al bar Centrale. Anche gli altri clienti seduti ai tavolini sembrano persi nei loro pensieri, senza darsi pace per una fine tanto tragica. In paese tutti volevano bene a Francesca Fantoni. «Così mite e pacifica, mi sembra impossibil­e che qualcuno possa essere così violento con lei». Giubbotto sportivo, spesso abbinato alla tuta da ginnastica, aveva sempre un sorriso e un saluto per tutti. Un’anima gentile per la quale veniva spontaneo provare affetto. «Era passata di qui anche sabato. Veniva spesso, a volte buttava dentro la testa anche solo per un “ciao” e per sapere se stavamo bene», ricorda la ragazza del Centrale velata di tristezza, consapevol­e che non arriverann­o più quella naturale gentilezza e quel sorriso a scaldare i cuori, tra cappuccini e brioches serviti a raffica. Anche lei scuote la testa mentre asciuga le tazze. E intanto al parco gli amici sono assiepati intorno al nastro bianco e rosso tirato dai carabinier­i della Scientific­a. Da lontano osservano i rilievi, hanno sguardi profondi, occhi che con il loro dolore sembrano quasi abbracciar­e Francesca che è ancora lì a terra, mentre c’è chi lavora per capire chi e perché possa averle fatto questo. C’è il sole che fa splendere il verde del prato che fa da contraltar­e al grigiore dei sentimenti di rabbia e dolore. La rabbia per tanta ferocia e il dolore per dover dire “addio” per sempre a un’amica. «Povera ragazza e povera mamma», sussurra tra sé e sé una signora un po’ su di età. Il furgoncino della mortuaria si porta via la Kekka. Ancora uno sguardo, ancora un abbraccio da lontano, fino alla prima curva, dietro la quale il furgone scompare. Ma non scompare Francesca dai cuori di chi le ha voluto bene e ora aspetta giustizia per lei. (l.g.)

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