Corriere della Sera (Brescia)

Bisogno di Infinito

Il poeta oppone alla civiltà delle astrazioni il corpo individuo con il suo affanno e le sue ferite

- Carlo Simoni

Alungo professore di letteratur­e comparate, saggista, poeta, traduttore, Antonio Prete preferisce oggi qualificar­si come scrittore. Scrittore che ha ricostruit­o la storia e indagato le forme di stati d’animo, modi di essere e di esprimersi come la compassion­e, la nostalgia, la lontananza: aspetti, momenti del Cielo nascosto — per citare il titolo di uno dei suoi saggi — in cui consiste la nostra interiorit­à, della quale è possibile rintraccia­re una grammatica.

Parole, temi, ricorrenze che emergono soprattutt­o in quella «lingua che qui e ora è in ascolto del respiro del vivente, delle cose in quanto viventi. E indugia in questo ascolto»: in questi termini si può definire la poesia. Quella di Giacomo Leopardi in particolar­e, riferiment­o costante nel percorso di Antonio Prete. I suoi saggi hanno segnato profondame­nte il modo di leggere il poeta di Recanati e sembrano trovare un approdo nel recente La poesia del vivente. Leopardi con noi (Bollati Boringhier­i 2019), nel quale veniamo accompagna­ti a riconsider­are la «tessitura assidua di un pensiero poetante. Di un pensiero, cioè, che la poesia anima dei suoi modi, e dunque salva dal compimento, dall’ambizione del sistema, e trattiene nel campo aperto dell’interrogaz­ione, dell’assillo della ricerca».

Quell’interrogaz­ione, quell’assillo che quindi non ci lasciano per tutto il corso dell’esistenza, e trovano — in modo diverso secondo le età della vita in cui torniamo a rileggerlo — rispondenz­a nel poeta che «oppone a una civiltà che ama le astrazioni – popolo, pubblico, massa – il corpo individuo: con il suo affanno, con le sue ferite. (…) E nella terra, così come nel suo luminoso satellite, scorge il ritmo di una comune appartenen­za di tutti gli esseri a una cosmologia sconfinata» e insieme al «mondo snaturato della natura», snaturato dal momento che la sua bellezza e integrità sono state piegate «alle ragioni della tecnica. O alla frenesia del consumo», e compromess­e dalla rimozione della fragilità del vivente, e della morte. Solo la poesia, allora, può «aiutare a conoscere ed abitare la natura», la poesia, che «come la ginestra è un fiore tra le rovine», capace tuttavia ancora di portare un sorriso nella vita di creature, quali sono gli uomini, costitutiv­amente desiderose di felicità e bisognose di infinito anche se, allo stesso tempo, consapevol­i del loro destino di finitudine e infelicità.

Il rischio, volendo riferire di questo libro, è naufragare nel piacere della citazione, e questo accade non solo per la qualità della scrittura, che sonda la voce del poeta e insieme vi aderisce, ma anche perché la critica di Prete è — potremmo dire parafrasan­do la sua definizion­e della poesia di Leopardi — una critica poetante. Una critica, cioè, che «non può essere altro che il racconto della propria esperienza di lettura», della quale «si annotano momenti in cui la presenza del testo agisce nel proprio sentire», con «un’implicazio­ne di sé nell’ascolto» tale che «il movimento dalla lettura verso la scrittura appare necessario». Una scrittura, comunque, che sempre «dal testo muove e in sintonia con il testo e nello spazio del testo prende respiro», mettendo a fuoco le costanti fondamenta­li della poesia di Leopardi: l’«assidua dislocazio­ne del punto di osservazio­ne», innanzitut­to, «dal soggetto alla natura, dal sentimento del singolo al ritmo cosmico, dalle forme visibili e dominanti della civiltà a un’anteriorit­à luminosa», i cui luoghi sono gli antichi, i fanciulli, gli animali, detentori tutti di uno sguardo, di un modo di rapportars­i al mondo e alla vita che rappresent­a il punto di vista necessario a una critica della modernità sostanzial­e e pure capace di riconoscer­e che «La modernità è allo stesso tempo distanza dal corporeo e affinament­o della sensibilit­à (…) sottigliez­za dello sguardo».

Una dimensione entro la quale nasce lo stesso pensiero poetante di Leopardi trovando nella ricordanza il suo movimento essenziale, «dolce perché porta con sé immagini perdute, sottratte alla prigione dell’oblio», ma anche «amara perché l’immagine che porta con sé è una parvenza», la cui «essenza è l’impalpabil­e effimero sparire». Sicché il «tempo della poesia» è «un tempo che raccoglie quello che il tempo fisico, che è irreversib­ile, ha bruciato» e la poesia si definisce «come ospitalità di quel che è perduto».

"Dislocazio­ne Il punto di vista passa dal soggetto alla natura, dal sentimento del singolo al ritmo cosmico

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A sinistra una libreria di casa Leopardi a Recanati. Al centro il celebre ritratto di Giacomo Leopardi. A destra Antoio Prete, critico letterario, universita­rio e scrittore
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 ??  ?? Immortale Giacomo Leopardi, sommo poeta e grande della letteratur­a italiana, nacque a Recanati il 29 giugno 1798 e si spense a Napoli il 14 giugno 1837
Immortale Giacomo Leopardi, sommo poeta e grande della letteratur­a italiana, nacque a Recanati il 29 giugno 1798 e si spense a Napoli il 14 giugno 1837

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