Raid razzista dentro al bar Restano dubbi sugli autori
Simboli sbagliati, indagini serrate
La svastica «al contrario» e le sbavature nei simboli, inequivocabili, che riproducono chiari messaggi razzisti e sessisti. Errori che in genere i movimenti di estrema destra non commettono.
Restano dubbi e perplessità sulla matrice del raid discriminatorio contro il bar Casablanca di Rezzato e, soprattutto, la titolare di origini marocchine. I carabinieri sono al lavoro per analizzare il contesto a lei più vicino.
Quell’imprecisione che alimenta le perplessità. Quei simboli — inequivocabili — un po’ troppo grossolani, a tratti sbagliati per essere riconducibili senza alcun margine di dubbio alla mano più scontata e lampante. E allora restano i dubbi. Da fugare solo grazie a un certosino lavoro di indagine. Non sempre tutto è come sembra.
Ci sono una svastica al contrario e una croce celtica. Accanto a una scritta realizzata con la bomboletta spray nera: insulti sessisti e razziali ben mirati. Contro di lei, Madiha Khtibari: 36 anni, cittadina italiana (qui è nata) di origini marocchine, ragioniera e compagna di un imprenditore bresciano, da un anno titolare del bar Casablanca di Rezzato. Gliel’hanno distrutto il 27 gennaio, proprio il giorno della Memoria, quello che commemora le vittime della Shoah. E anche questo, ovviamente, agli occhi di chi indaga, non è un particolare irrilevante. Ma non è nemmeno escluso possa rilevarsi paradossalmente fuorviante.
Le hanno sfondato la vetrina, ribaltato il piccolo locale, asportato cibi e bevande dal magazzino. Hanno frantumato bicchieri, rovesciato alcolici e divelto la veranda esterna. Lasciando lo spregio impresso nell’inchiostro. Ma se davvero sia l’opera vergognosa — che ha suscitato sdegno e condanne a più livelli, politici, istituzionali e popolari — di persone riconducibili a movimenti di estrema destra resta ancora tutto da accertare. Perché questo raid non presenta alcune delle caratteristiche tipiche di simili gesti: non una rivendicazione (in genere nell’immediatezza arriva), non un «tag» o un segno che sia attribuibile senza eccezioni all’una o all’altra «formazione». Non un clone. Nel senso che in linea di massima chi si rende responsabile di un simile attacco nel nome di una precisa ideologia, e portavoce di una «formazione» dagli ideali estremisti ben precisa, capita lo faccia prendendo di mira più bersagli pressoché contestualmente. Magari non troppo lontani. In questo caso non è successo: solo il bar Casablanca. Il quale, peraltro — e anche questo è un altro elemento al vaglio degli investigatori — non è nemmeno particolarmente «in vista» in termini di location quindi, di conseguenza, di visibilità e clamore.
Potrebbe essere tutto e il contrario di tutto. Meno probabile un puro depistaggio, possibile una sfumatura meno marcata rispetto al messaggio che voleva trasmettere. E che in ogni caso resta spregevole.
Le indagini, al momento, si stanno concentrando nel contesto «ristretto» rispetto al punto in cui l’irruzione ha preso corpo: i famigliari di Madiha o comunque le persone a lei più vicine, che la conoscevano bene, i residenti che vicino al bar ci vivono. E che potrebbero, anche involontariamente, aver colto dettagli importanti ai fini della soluzione del caso. Da qui il cerchio potrebbe via via allargarsi: non è escluso possano essere convocati e sentiti anche i clienti abitudinari del locale. Locale nel quale, sia dentro che fuori, nel piazzale, non era stata installata alcuna telecamera di sorveglianza. Forse chi è entrato in azione lo sapeva pure. Lei, la titolare — amareggiata e spaventata — non nasconde i sospetti, nemmeno troppo velati, proprio nei confronti di alcuni avventori non troppo garbati nei suoi confronti. L’ultimo episodio prima di Natale, al bancone: un caffé rovesciato e non pagato — racconta chi avrebbe raccolto le confidenze della barista — da un ragazzo (non sarebbe della zona) che non avrebbe lesinato insulti e offese nei suoi confronti. Di sfondo sessista e razziale. Madiha avrebbe ricevuto complimenti insistenti e di cattivo gusto, conditi addirittura dalle minacce, mai denunciate, forze anche per paura. Lei, così devota al suo lavoro, lei che al bar ci è sempre andata all’alba per servire il caffè ai tanti operai e camionisti di passaggio. Gentile e discreta, per non essere né invadente né fraintesa. I carabinieri di Brescia sono al lavoro, per darle le risposte di cui ha diritto.
I simboli imprecisi
A destare perplessità sono la svastica al contrario e la croce celtica non precisa