Massacrata di botte e uccisa L’amico tradito dalla felpa
Andrea Pavarini, 32 anni, accusato dell’omicidio di Francesca Fantoni: in casa abiti sporchi di sangue
Una felpa sporca di sangue e fango nella lavanderia di casa: elemento che ha incastrato Andrea Pavarini, giardiniere di 32 anni, fermato nella notte dai carabinieri, su disposizione del pm Marzia Aliatis, per l’omicidio di Francesca Fantoni, 39, trovata senza vita in un angolo appartato del parco pubblico di Bedizzole. Massacrata di botte. «C’è un video in cui si vedono l’unico indagato del delitto uscire con la vittima e altre persone dallo stesso bar. E lui ha la felpa pulita». Poco più di un’ora dopo la si vede imbrattata. Ma lui non ha confessato.
Non è crollato nemmeno di fronte a quella felpa grigia chiara, la sua, tra le mani — quelle di un carabiniere — sotto i suoi occhi nella lavanderia dell’appartamento di Bedizzole in cui vive con la compagna e una figlioletta di appena tre mesi. Sul petto, evidenti chiazze di sangue e fango. Che non ha saputo o voluto spiegare. Se quelle tracce ematiche siano di Francesca, lo chiariranno con certezza solo le analisi comparative chieste d’urgenza dagli inquirenti all’istituto di medicina legale. Ma «non ho fatto niente, non sono stato io ad ammazzarla, questo lo dite voi», nega le accuse lui. Che adesso è in cella.
Il fermo
Per l’omicidio di Francesca, affetta da un ritardo cognitivo, dopo un interrogatorio di 13 ore in caserma nella notte è stato fermato un ragazzo che lei conosceva bene: Andrea Pavarini, 32 anni, figlio di allevatori e giardiniere saltuario con qualche precedente alle spalle. A incastrarlo è proprio quella felpa imbrattata di sangue e fango. Ma non solo. I militari del nucleo investigativo e della sezione Scientifica, con i colleghi di Bedizzole e Desenzano, coordinati dal pm Marzia Aliatis e dal procuratore capo Francesco Prete, hanno lavorato sodo per ricostruire tutti i tasselli di una tragedia. Sulle sue mani, gonfie, i segni compatibili con un’aggressione e un delitto che lo stesso comandante provinciale dell’Arma, Gabriele Iemma, ha più volte definito «molto violento». Perché Francesca sarebbe stata uccisa a mani nude, ripetutamente colpita senza pietà. E dopo averlo fatto il presunto responsabile ha pure fatto tappa in un bar poco distante dal parco teatro del massacro: proprio lì dove un altro cliente — teste importantissimo — ha notato la felpa sporca, sotto il giaccone aperto, immortalata pressoché contestualmente dalle telecamere di videosorveglianza. Erano le 22 di sabato sera.
Le immagini
Il nastro si riavvolge di appena un paio d’ore scarse. Perché quella stessa felpa, ma pulita, Andrea la sfoggiava in un altro filmato: i fotogrammi che si riveleranno gli ultimi a immortalare Francesca viva, cristallizzati dalla videocamera installata al bar le terrazze, verso le 20.30 della stessa sera. Lei che esce con gli amici, dietro lui, Andrea, che li segue fuori dal locale dopo aver scambiato quattro chiacchiere. Non solo. Poco prima, lo si vede anche raggiungere la vittima e poggiarle una mano sulla spalla, gesto che in un certo senso sembra irrigidirla. Tutti fuori. Tra il bar in piazza Europa e il parco ci sono meno di trecento metri, separati, per così dire, dalle giostre del luna park. Con la musica ad alto volume e i rumori che, ci viene logico pensare, forse hanno coperto eventuali grida o richieste d’aiuto provenire da quell’angolo buio del parco, dove Andrea e Francesca si sarebbero appartati insieme, da soli.
Il ritrovamento Francesca Fantoni, 39 anni, è stata uccisa nel parco dei Bersaglieri, lungo via Aldo Moro, in paese: l’ha trovata lunedì mattina, in mezzo ai rovi — «in un’ansa appartata, non illuminata e lontana dal sentiero» — un carabiniere che stava perlustrando la zona in occasione delle celebrazioni per il Giorno della memoria. Il corpo martoriato dalle botte, i calci e i pugni sferrati anche al volto, i vestiti non propriamente in ordine, parzialmente sfilati. Di lei non si avevano più tracce da sabato sera, quando era uscita con gli amici per un giro in piazza e al bar Le Terrazze. Non era da lei non chiamare casa la mamma e la sorella. Il suo telefonino, in frantumi, è stato recuperato domenica, lungo la strada dietro la chiesa, non lontano da un cestino dell’immondizia. E per gli inquirenti a gettarlo è stato l’unico indiziato della sua morte.
Il movente
Resta ancora da capire il movente. In paese c’è chi dice di averli già visti insieme altre volte, la vittima e il suo presunto assassino. Non si esclude che a innescare la violenza sia stato un raptus improvviso, scaturito da una discussione accesa e degenerata. Magari dopo un rifiuto di Francesca. O per soldi, spiccioli che magari ingenuamente lei chiedeva in prestito. O entrambe le cose. Che, allo stato, restano supposizioni, vista la mancanza di collaborazione da parte dell’unico indagato per il delitto: «Riteniamo abbia agito da solo», dicono gli inquirenti. Il pm ha conferito l’incarico per eseguire l’autopsia, l’unico accertamento in grado di stabilire con esattezza la causa della morte di francesca, così come escludere (o meno) abbia subito anche violenza sessuale. Andrea Pavarini, in carcere, attende invece l’udienza di convalida davanti al giudice.