Il borghese gentiluomo
Un libro ricorda Angelo Rampinelli Rota, scomparso nel 2013
Un uomo pubblico è molto più della somma delle sue cariche. Il suo profilo è fatto anche di stile e di cultura, di umanità e di temperatura spirituale, di relazioni costruite e di ricordi lasciati dietro di sé.
Angelo Rampinelli Rota (1934-2013), per tutti Angi, non è stato solo il presidente di Asm e il vicepresidente della Fabbrica d’armi Beretta, il consigliere comunale del Pli per vent’anni e il candidato sindaco della lista Civica Pallata nel 1994, il precoce segretario della Storia di Brescia di Treccani degli Alfieri e il presidente del’Ateneo e di Brescia Musei, il consigliere di Fondazione Cab, Edizioni Brescia, AAB, Circolo del teatro, Museo di Scienze e molto altro. Angi è stato un uomo della tradizione, capace di coniugare aspirazione alla libertà e senso della giustizia; è stato l’ultimo degli zanardelliani e il primo dei civici; è stato un esempio di saggezza bonarietà e ironia, un ottimate esponente dell’establishment sempre nutrito però da un’affabilità sincera e un’apertura curiosa alle espressioni più minute e popolari della «brescianità»; un militante liberale che considerava lo scetticismo una virtù ed era noto perché «accettava le candidature solo quando era certo che non avrebbe potuto vincere».
Rampinelli amava il potere e comunque frequentarlo: quello economico, quello industriale, quello finanziario, eppure coltivava anche «una orgogliosa e compiaciuta vocazione minoritaria». Rampinelli è stato nei primi anni Novanta — con la lista La Pallata — esponente ante litteram del civismo inteso come «tentativo liberale di provare a essere tenacemente e rigorosamente all’altezza delle proprie responsabilità».
Da presidente di Asm ha dimostrato capacità di «visione», il che «implica lungimiranza». Da presidente dell’Ateneo ha aperto una nuova stagione «di custodia e valorizzazione delle virtù civiche, a patto però di abbandonare atteggiamenti autoreferenziali e di aprirsi verso le altre istituzioni culturali e le realtà civili virtuose». All’Associazione Artisti Bresciani e ai suoi esponenti ha sempre offerto un amichevole, illuminato sostegno. Da manager della Beretta ha dato prova di «concretezza senza ostentazione, tenacia e passione».
Nella vita interna al Partito liberale, di cui è stato anche segretario regionale, ha avuto un ruolo di raccordo e di equilibrio prima nel sostenere la segreteria Malagodi, poi nell’affermare quella di Zanone. Dagli amici si faceva apprezzare durante i viaggi per la cultura enciclopedica, lo humour e la capacità di improvvisazione dialettica. I giovani del Pli lo consideravano un «grande borghese» e ne apprezzavano equilibrio e saggezza, incline com’era alla «concretezza per il raggiungimento del possibile».
Una personalità sfaccettata, poliedrica, carismatica ma sempre accostabile, colta ma anche vernacolare, consapevole delle tradizioni che portava nel Dna ma anche curioso e aperto al nuovo, cultore del passato ma amante della modernità, dialogico e mai ideologico. E il bello è che tutte le definizioni finora usate per tratteggiare questa personalità inimitabile non sono destinate a svanire con lo sbiadirsi della memoria, ma sono affidate alla durevole permanenza di un libro: «Angi Rampinelli Rota (19342013). Le virtù del Liberalismo». Lo ha curato Paolo Corsini, già sindaco e amico personale di Rampinelli, lo pubblica Liberedizioni.
Il fascicolo (120 pagine, euro 12) riunisce il testo di saluto del sindaco Emilio Del Bono e le relazioni dello stesso Corsini, di Beppe Facchetti e di Francesco Onofri pronunciate durante un convegno in memoria di Rampinelli che si svolse in Loggia il 19 ottobre del 2018. Lo arricchiscono i contributi di Camillo Facchini, di Sergio Onger, di chi scrive, di Ugo Gussalli Beretta, Stanislao Cavandoli, Carlo Fasser, Gianmarco Brenelli e Antonio Patuelli.
Ne esce il ritratto dell’«ultimo dei liberali», per sentimento e cultura, non certo per pregiudizio ideologico sul presente. Un presente che Angi ha calcato da protagonista lasciando, dietro di sé, tanta nostalgia, tanti rimpianti, tanti affetti.
Eredità
Fu l’ultimo degli zanardelliani, seppe coniugare libertà e senso della giustizia
"Trasversale
È stato un esponente dell’establishment sempre attento però a una brescianità popolare
"Controtendenza Accettava le candidature solamente quando era sicuro che non avrebbe potuto vincere