Mezzanotte reincarna la non banalità del male nazista
Una filiera di rimandi, una consecutio temporum di ricordi e immagini che autorizzano la suggestione. Francesco Permunian cita tra i suoi maestri l’austriaco Thomas Bernhard, che aveva un attore feticcio, Bernhard Minetti, scelto e imposto come interprete di molti dei suoi drammi. In uno di questi (Minetti, ritratto di un artista da vecchio) l’attore, in attesa di andare in scena per l’ultima volta nel ruolo di Re Lear, riflette sulla propria vita e sul senso del teatro, denunciando l’omologazione del pensiero e dello stesso pubblico, ormai instupidito dalla richiesta compulsiva di divertimento e di oblio. Questa sera (ore 20.30) al Teatro Sancarlino — organizzazione della Casa della Memoria — Luigi Mezzanotte dà voce a Il Compleanno di Francesco Permunian, scrittore desenzanese d’adozione, ritenuto dalla critica tra i più rilevanti della letteratura contemporanea. Il testo, tratto dal romanzo La Casa del sollievo mentale (Nutrimenti), scivola sul filo del rasoio del grottesco e ci porta dentro il cuore di tenebra dell’uomo. Luigi Mezzanotte, cresciuto sul palcoscenico accanto a Carmelo Bene, Pasolini e la nostra Mina Mezzadri, ha solido curriculum, nonché un’età (classe 1940) esperta, come quella dell’ultimo Minetti, che volle recitare il Re Lear indossando una maschera ghignante di Ensor, pittore ferocemente critico della società del suo tempo. Forse perché la maschera, simbolo per eccellenza del teatro, rivela il vero volto dell’attore.
Mezzanotte ha fortissimamente voluto Il Compleanno e non disdegna l’idea bernhardiana di teatro come luogo della cruda e ultima verità, capace di sbugiardare la falsità di cui è capace il linguaggio. «Aggiungerei — ci dice — che il teatro, anche sotto forma di rito e finzione, può dire l’indicibile. Questo è un testo che mi ha subito ammaliato, fin da quando l’ho letto anni fa al Festival della letteratura di Mantova. Il protagonista, un vecchio nazista la cui mente è assediata dai bambini morti nei forni crematori di Terezin, è una figura che richiama la follia di Macbeth. È fuori di senno, ma non si pente. È un mostro, un criminale, eppure alla fine sembra farsi strada anche un barbaglio la pietà. Non umano, umano. Un mistero, perché il male non è mai banale, ha una sua ambigua attrazione».
Direzione artistica curata con la consueta raffinata maestria da Antonio Fuso di Scena Sintetica. Musiche di Andrea Mannucci.