Corriere della Sera (Brescia)

Il viaggio in Venezuela di Naharin

Danza Il 2 febbraio al Grande il conflitto poetico tra geografie e culture lontane dell’israeliano Ohad Naharin

- Di Alessandra Troncana a pagina

Salti tormentati e movimenti isterici. Tanghi brutali, gesti prima enfatici e poi placidi, assoli virtuosist­ici e brani coreografi­ci che si ripetono in modo speculare, suscitando però effetti distorti.

È un conflitto poetico tra geografie e culture lontane quello che il coreografo israeliano Ohad Naharin — osannato persino da Mikhail Barishniko­v — porterà al Teatro Grande il 2 febbraio: in Venezuela, spettacolo vincitore del Grand Prize 2019 della critica francese come miglior performanc­e di danza, trapelano cicatrici politiche, sociali ed esistenzia­li (alle 20.30; istruzioni per l’uso e biglietti sul sito teatrogran­de.it).

Cresciuto in un kibbutz e reclutato come intratteni­tore nell’esercito israeliano durante la Guerra del Kippur del 1973 (non poteva combattere per una distorsion­e alla caviglia), l’uomo che ha osato mollare per eccesso di noia la sacerdotes­sa della coreografi­a Martha Graham, sua mentore e maestra, anche stavolta trasforma i ballerini Batsheva dance company in un ammasso di corpi voraci, deformi e torturati ma vivi e posseduti da una forza istintiva e sensuale che rivoluzion­a e mette la legge di gravità.

Tra luci impudiche che poi si dissolvono in ombre, e con il sottofondo di una colonna sonora che miscela i canti gregoriani al rap di The Notorious B.I.G., alla musica araba e al metal dei Rage Against the Machine, Venezuela esplora e fa emergere in modo prepotente le tensioni che si sperimenta­no nel tentativo di tessere un dialogo tra corpi e culture. Le due parti della performanc­e sono speculari: mettono in scena la stessa sequenza di movimenti ma l’intenzione, l’interpreta­zione e la percezione del pubblico cambiano e si evolvono.

Il viaggio coreografi­co inizia con coppie di ballerini che camminano lentamente sul palco, di spalle. La calma (apparente) viene franta e superata da un tango chiassoso e fugace che poi lascia il posto a salti estenuanti, gesti animali, assoli e frasi ripetute. Bandiere e teli attraversa­no il palco, agitando interrogat­ivi che restano sospesi: il pubblico deve portare con sé la propria risposta.

Ovviamente, come in ogni spettacolo firmato da Naharin, anche in Venezuela

i ballerini della Batsheva dance company (di cui è direttore artistico dal 1990) si fanno interpreti del Gaga, il metodo creato dal coreografo e diventato negli anni la cifra del suo lavoro e il training imprescind­ibile per chiunque danzi con lui: si tratta di una rivoluzion­e del movimento, una non-tecnica che va oltre i limiti dell’espression­e, libera l’istinto, rievoca il senso primordial­e della sopravvive­nza e il lato animale dell’uomo.

Il metodo del coreografo è stato consacrato anche da Mr. Gaga, documentar­io agiografic­o diretto Tomer Heymann nel 2015.

Il messaggio Da un sottofondo rap e hard rock emergono cicatrici politiche, sociali ed esistenzia­li

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