Corriere della Sera (Brescia)

Atti vandalici sull’auto di Madiha

Il caso Dopo i gesti razzisti al suo bar di Rezzato la 36enne italo-marocchina ieri ha ritrovato la Cinquecent­o rigata La sorella: «Un mese fa hanno tirato sassi contro il locale. Ora abbiamo paura per lei»

- Di Nicole Orlando

Ieri Madiha Khtibari, la 36enne che il 27 gennaio ha trovato il suo bar distrutto e imbrattato di scritte razziste e sessiste, ha scoperto che la sua Cinquecent­o è stata vandalizza­ta. Righe evidenti sulle fiancate, lo sportello del carburante divelto. Non solo. Un mese fa, racconta la sorella Hanane, «Qualcuno ha tirato un sasso contro la vetrina del suo locale di Rezzato. Ora noi abbiamo paura per lei». Madiha aveva già ricevuto offese e minacce da parte di un gruppo di avventori occasional­i ma non aveva detto nulla ai famigliari, per non spaventarl­i. «Non so ancora cosa ne farò del bar — spiega la giovane donna al Corriere — per ora vorrei solamente ritrovare un po’ di tranquilli­tà».

Non si è trattato di un episodio isolato. Le aggression­i indirizzat­e a Madiha Khtibari, la barista 36enne di origini marocchine ma nata in Italia, sarebbero almeno tre: la prima un mese fa, quando qualcuno ha lanciato un sasso contro la vetrata del suo bar. La seconda la notte del 27 gennaio, con le scritte ingiuriose ritrovate sul pavimento del suo bar di Rezzato (insulti razzisti e sessisti, svastiche e croci celtiche). La terza ieri mattina: i famigliari hanno trovato l’auto di Madiha rigata, con lo sportello della benzina rotto. «Lo abbiamo scoperto poche ore fa, non sappiamo se sia successo a casa o ancora al bar». A raccontarl­o è Hanane, sorella maggiore della barista 36enne. «Abbiamo paura per lei, non sappiamo cos’altro possa succedere». Un episodio inquietant­e, anch’esso al vaglio dei carabinier­i che ieri hanno ascoltato ancora la ragazza, per capire chi, tra gli avventori del bar, l’ha offesa nei mesi scorsi.

Lei, Madiha, non ha parlato nemmeno con la sua famiglia delle minacce e degli insulti ricevuti in passato: «Non voleva farci preoccupar­e, è molto riservata — spiega Hanane — solo adesso ci ha detto di avere ricevuto commenti pesanti da parte di alcuni clienti».

Madiha non parla volentieri, non vuole raccontare di sé, dell’aggression­e nei suoi confronti, di quello che è successo poi, che l’ha catapultat­a sotto i riflettori della stampa nazionale in quanto vittima dell’ennesimo esecrabile episodio di razzismo. Ma le poche parole che accetta di dire bastano per fotografar­e il momento di incertezza e paura che sta vivendo. Due le ripete più volte: «Ringrazio tutti». Ringrazia le centinaia di persone che martedì sera si sono ritrovate davanti al suo locale, il Casablanca di via Garibaldi a Rezzato, per esprimerle solidariet­à e per condannare l’atto razzista di cui è diventata involontar­ia protagonis­ta: «Non mi aspettavo una partecipaz­ione così forte, mi ha sorpresa molto». Ringrazia ancora. Ma per ora non accetta gli oltre 5mila euro raccolti con l’aperitivo solidale: «Vorrei che venissero dati a chi ha più bisogno di me». Intanto l’associazio­ne Diritti per tutti, che ha organizzat­o il presidio, ha deciso che terrà per qualche tempo la somma in standby, per lasciare a Madiha il tempo di riflettere e decidere.

«In questi giorni — dice lei al Corriere — voglio solo ritrovare la tranquilli­tà. C’è tanto lavoro da fare al bar, sul futuro prenderò una decisione quando sarò più lucida, non adesso. I prossimi giorni mi aiuteranno a decidere cosa fare». Aggiunge poi un’ultima cosa: «Non voglio che si pensi che Rezzato sia un paese razzista, perché non è così».

E in tanti hanno voluto dimostrarl­o l’altra sera, radunandos­i di fronte al suo locale per esprimerle vicinanza. Lei non c’era, ma in serata sono arrivati sua sorella e suo fratello, che hanno ringraziat­o gli organizzat­ori per la mobilitazi­one.

Oggi Madiha non sa dire se riaprirà il suo Casablanca, nome scelto in omaggio alla sua città di origine. Radici che potrebbero essere alla base del raid: «Mio papà è stato uno dei primi marocchini a venire in Italia — racconta la sorella — e abbiamo vissuto per 14 anni in Calabria prima di trasferirc­i a Brescia. Lui lavorava nell’agricoltur­a. Siamo cinque fratelli e siamo cresciuti tutti qui, i nostri amici sono qui, le nostre famiglie sono italomaroc­chine e siamo molto uniti, viviamo tutti nello stesso complesso residenzia­le. Siamo italiani e siamo perfettame­nte integrati. Io ho sposato un vigile del fuoco italiano, mio fratello una donna triestina. Abbiamo sempre lavorato, pagato le tasse. Siamo persone oneste e non abbiamo mai fatto del male a nessuno. perché avercela con noi?».

Madiha Khtibari Voglio ritrovare un po’ di tranquilli­tà. Ringrazio per il sostegno ricevuto: Rezzato non è razzista

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Il bar di Madiha vandalizza­to il 27 gennaio, Giornata delle Memoria. Sul pavimento svastiche e scritte ingiuriose
(Foto Ansa) I danni Il bar di Madiha vandalizza­to il 27 gennaio, Giornata delle Memoria. Sul pavimento svastiche e scritte ingiuriose

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