«Fede e medicina Così ho sconfitto il mio tumore»
La giovane porta la sua testimonianza in scuole e oratori: la vita è un dono immenso
Pubblichiamo la testimonianza di una ragazza di vent’anni che ha deciso di raccontare in modo sincero e disarmante la sua lotta contro il cancro, che l’ha aggredita quando era una bambina.
Uno degli aspetti più devastanti e temibili del cancro è il suo silenzio. La malattia ha preso il controllo del mio corpo senza chiedere il permesso. Lo ha fatto piano piano, senza destare sospetti, mentre apparentemente ero una ragazzina «normale»: vivace, fino ad allora in ottima salute, appassionata della scuola, dei cani, dello sport, del canto. Giocavo sempre all’aria aperta, addirittura fino alla sera prima del ricovero. Ero inconsapevole della mia fortuna poiché davo tutto per scontato, compreso il valore della salute.
A stravolgere la tranquilla esistenza della nostra famiglia, qualche anno fa, fu un campanello d’allarme : un linfonodo inguinale ingrossato. Da qui la corsa agli accertamenti, l’arrivo in pronto soccorso, gli esami, fino al giorno della diagnosi : «Rabdomiosarcoma alveolare metastatico all’ultimo stadio», uno dei tumori più aggressivi. Ci portarono al reparto che sarebbe diventato la nostra «seconda casa»: Pediatria Est, Oncoematologia Pediatrica degli Spedali Civili di Bresca. Rimasi attonita e mi chiesi se tutto ciò stesse davvero capitando a me. Iniziava un duro percorso che prevedeva chemioterapia, radioterapia, interventi, catetere venoso centrale, trasfusioni, aspirati midollari, visite, esami, mascherine, isolamenti, ricoveri... Niente più giochi all’aperto in compagnia di amici. I capelli cadevano bruciati dalle terapie , insieme a ciglia e sopracciglia. Arrivai a pesare venti chili. Tutto sembrava trascinarci in un vortice da cui salvarsi sarebbe stato impossibile . Quel buio ci ha però invitati a riguardarci dentro, e siamo riusciti a farlo grazie al dono della Fede. Abbiamo cercato di affrontare la malattia come una svolta, iniziando a vedere il quotidiano con altri occhi, dando valore a quelle che, fino ad allora, ci sembravano piccole cose: il dono della Vita, del tempo, della salute. Abbiamo imparato a sdrammatizzare la malattia attraverso giochi collettivi, risate e «feste» improvvisate, poiché è il sorriso a rendere sopportabili i momenti più difficili.
I sacerdoti delle parrocchie e dei santuari, le suore e i frati dell’ospedale sono stati i nostri punti di riferimento; la cappella ospedaliera il centro della nostra forza. Tutti i medici, in particolare la dottoressa Lucia Dora Notarangelo, gli infermieri, le ausiliarie, i volontari, sono diventati la nostra seconda famiglia ed i compagni di stanza gli amici più cari. Per questo il dolore più grande dell’intera esperienza vissuta è stato per me perdere alcuni compagni di malattia: riaffiorano i sogni, le giornate condivise, gli abbracci scambiati... A questi piccoli grandi eroi, infatti, ho voluto dedicare la mia tesina di maturità.
Il cancro cambia una persona per sempre, sia fisicamente che mentalmente. Oggi i miei controlli continuano e gli effetti collaterali delle terapie si manifestano ancora. Io e mia mamma testimoniamo la nostra storia nelle parrocchie, negli oratori, tra i gruppi scout e nelle scuole, sperando che le nostre parole di dolore ma anche di speranza possano essere d’aiuto a qualcuno. Vorremmo che non fosse necessario passare direttamente attraverso l’esperienza della malattia per capire che la Vita è un dono troppo grande per essere sprecato. Raccontiamo cosa ha significato per noi il sostegno di tutte le persone che non hanno voltato le spalle di fronte al dolore. Il valore di tutti quei piccoli gesti che, goccia dopo goccia, hanno creato un oceano di Bene: i gruppi di preghiera che da Nord a Sud pregavano fino a notte per me, le persone che hanno donato il sangue, gli amici che con discrezione non ci hanno mai lasciati soli. Parliamo anche del difficile periodo della reintegrazione nella società, perché il cancro non finisce quando termina il trattamento. Rientrare a scuola, ad esempio, significa essere spesso diversi, sia fisicamente che mentalmente. È anche qui che c’è bisogno di qualcuno che si prenda cura del malato. Raccontiamo la nostra storia per dire grazie: a Dio per il dono della Fede, senza la quale non saremmo mai riusciti a sopportare un peso così grande. A tutti coloro che si sono presi cura di noi : «Quando curi una malattia puoi vincere o perdere , ma quando ti prendi cura di una persona vinci sempre» (Patch Adams) e il personale medico è davvero l’autentica testimonianza di tutto questo. All’associazione Abe, che da più di
"La sofferenza I capelli e le sopracciglia cadevano bruciati dalle terapie: sono arrivata a pesare venti chili
"Gli aiuti e la speranza Fondamentale è stato il sostegno delle persone che non hanno voltato le spalle di fronte al dolore
trent’anni collabora con il nostro reparto per aiutare le famiglie ed i bambini che si trovano ad affrontare un percorso così difficile, regalando sorrisi e dando sostegno. Alla ZebraOnlus (radiologia pediatrica Spedali Civili), che sostiene la diagnosi con nuove apparecchiature.
Durante i nostri incontri portiamo sempre l’esempio di tutti i bambini e ragazzi che oggi ci sorridono dal Cielo: raccontiamo il loro coraggio, l’immensa voglia di vivere, l’altruismo che supera ogni barriera, anche quella della morte, attraverso progetti che nel loro nome portano sollievo ai piccoli malati. La malattia è qualcosa che toglie tanto ma restituisce in cambio un amore autentico per la Vita.