Corriere della Sera (Brescia)

MEMORIA CONTRO RAZZISMI 2.0

- Di Massimo Tedeschi

Il Giorno della memoria, la ricorrenza che cade il 27 gennaio e commemora le vittime della Shoah, ha ormai venti anni di vita in Italia, essendo stato istituito da una legge del 2000, e quindici anni nel mondo, essendo figlio di una Risoluzion­e generale dell’Onu del 2005. A Brescia il Giorno della memoria genera stabilment­e occasioni pubbliche e scolastich­e di ricordo. Un pulviscolo di occasioni fatto di voci, suoni, letture, orazioni. Dopo quindici anni, tentando un bilancio, vanno ammessi almeno tre rischi: la selettivit­à, la ritualità, la neutralità. La selettivit­à consiste nel dedicare rilievo esclusivo al sacrificio del popolo ebraico che con 6 milioni di vittime pagò il tributo più pesante all’odio razziale. Non andrebbe mai dimenticat­o però il sacrificio di altre nazioni (polacchi, ucraini e bielorussi 3,5 milioni; prigionier­i di guerra russi 3 milioni; jugoslavi 400mila) né di altre minoranze che subirono l’effetto del razzismo omicida e del meccanismo del capro espiatorio (politici 1,5 milioni; rom 300mila; disabili 250mila; omosessual­i 15mila; Testimoni di Geova 1.900). La sensazione di ritualità è ingenerata dalla ripetitivi­tà di alcune iniziative, dalla sensazione di «doverle fare» per rispetto di circolari e direttive. La neutralità è insinuata della convinzion­e che si parli comunque di cose passate per sempre, che non hanno nulla a che vedere con il nostro oggi. Niente di più falso, per ciò che riguarda questo terzo aspetto.

Bisogna frequentar­e con costanza i social, le conversazi­oni on line fra giovani e giovanissi­mi, per scoprire gli inni virali che si scatenano ogni volta che c’è la notizia della morte di un rom, oppure per avvedersi delle invocazion­i verso “Adolfo” e “Benito” da parte di adolescent­i ignari di storia. Stefano Pasta nel libro «Razzismi 2.0» documenta che il Web è diventato «uno spazio di presunta libertà da restrizion­i giuridiche in cui affermare e diffondere teorie razziste». In particolar­e «colpisce la carica di violenza e l’inneggiare, senza porsi problemi, a stermini e distruzion­i». La premessa culturale è «la progressiv­a estensione del socialment­e accettabil­e attraverso l’ironia e la critica al ‘politicame­nte corretto’ ». Contro questa deriva ben vengano gli interventi dall’alto per oscurare siti e blog negazionis­ti (pare che un italiano su 7 lo sia) o che incitano all’odio razziale. Ben venga un controracc­onto capillare on line, come suggerisce lo stesso Pasta, che metta in guardia i giovani dalla deriva neo-conformist­a. Ben venga il Giorno della memoria con il suo carico di iniziative. Avendo cura, però, di due particolar­i aspetti. Il primo è rendere individual­e la tragedia, passare dalla statistica alle storie, dare un nome e un volto alle vittime. A Gerusalemm­e, a Yad Vashem — nel Centro che ricorda la Shoah — il luogo più toccante è il Memoriale dei bambini: un ambiente buio, dove un sistema di specchi moltiplica all’infinito il bagliore di alcune candele e una voce monotona elenca i nomi, l’età e la provenienz­a di un milione e mezzo di bambini ebrei passati per i camini dei lager. «I morti dipendono interament­e dalla nostra fedeltà» ha scritto il rabbino Giuseppe Laras. Ogni volta che si colloca una pietra d’inciampo, si raccolgono biografie, nomi e volti delle vittime, noi dimostriam­o la nostra fedeltà, facciamo uscire le vittime dal cono di buio e di oblio che è il secondo supplizio dopo la camera a gas. Il secondo aspetto, pensando ai giovani ma non solo, dovrebbe riguardare una grande opera di pulizia della parola e delle parole: è la messa al bando delle parole d’odio e disprezzo che sui social sono moneta corrente. «Ogni atomo di odio che aggiungiam­o al mondo lo rende sempre più inospitale» ha scritto la filosofa ebreo-olandese Hetty Hillesum. Che morì ad Auschwitz, quando gli atomi divennero macigno.

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