La Tragica? Non ha nulla di tragico
Ottavio Dantone dirige la Filarmonica stasera (prova aperta) e domani «Con la Quarta, Schubert avrebbe voluto emulare la Quinta di Beethoven. Ma fallì»
La Filarmonica torna alla Scala dopo la tournée internazionale dove ha trionfato con la Quinta sinfonia di Beethoven diretta da Riccardo Chailly. Casuale ma interessante coincidenza, il rientro al Piermarini avviene con la sinfonia che nelle intenzioni di Schubert avrebbe dovuto emulare il capolavoro beethoveniano, la Quarta titolata programmaticamente dall’autore «La tragica». «Se imitazione doveva essere, fu un’imitazione totalmente mancata: Schubert aveva un’indole, un carattere e uno spirito molto diversi da Beethoven e la sua musica era ancora tutta radicata nel classicismo, nel tardo Settecento, non era ancora entrata nella nuova dimensione che il tedechiesto sco aveva creato dall’Eroica in poi» spiega Ottavio Dantone, che domani dirigerà il concerto e stasera introdurrà la Prova aperta. Anche la sua presenza sul podio non è casuale: è un acclamato barocchista (è appena uscito un suo disco dove suona il clavicembalo), il repertorio che frequenta più assiduamente è il Settecento, anche se proprio alla Scala ha diretto la «Cenerentola» di Rossini, ovviamente con uno stile radicalmente diverso, più filologico, rispetto alle abitudini impostesi nella tradizione lirica. «La dirigerò tra poco a Monaco, poi mi aspetta “Alcina” di Händel a Dresda; per fortuna con mia moglie (la cantante Delphine Galou, ndr) nel cast: in queste settimane devo anche incidere e tenere alcuni concerti con l’Accademia Bizantina, e facendo la valigia per venire a Milano mi sono accorto che tornerò a casa il 3 aprile…».
Dantone riprende la sua riflessione sulla «Tragica»: «Non ha nulla di tragico, non c’è quell’enfasi sentimentale che vibra nella Quinta; la cifra di Schubert non è l’eroismo, ma tristezza, malinconia e dolcezza che connotano l’Andante, non a caso il movimento più toccante e convincente della sinfonia. In generale il linguaggio appartiene allo “Sturm und Drang”, corrente pre-romantica di fine Settecento dove la scrittura musicale è ancora trasparente: ho all’orchestra di articolare ogni nota delle linee melodiche e di accentuare i contrasti dinamici e tematici sempre mantenendo la trasparenza e senza enfatizzare. Anche qui i diversi toni della musica riflettono i sentimenti, ma in modo più mediato e meno tellurico rispetto a Beethoven. Ad esempio il potente accordo che apre la sinfonia, in do minore come la Quinta: all’inizio i professori della Filarmonica lo suonavano
Il direttore
«La cifra dell’austriaco non è l’eroismo, ma sono la tristezza e la malinconia»
in modo veramente beethoveniano, ma sono talmente bravi e duttili che subito hanno modificato il loro approccio». Dantone traccia un parallelismo con l’altra sinfonia in programma, l’ultima delle 104 composte da Haydn: «In entrambe il tempo lento presenta un primo tema dolce e un secondo più drammatico, e i minuetti hanno un ritmo sincopato. Haydn è sorprendente: era stato proprio lui a codificare la forma della sinfonia, eppure fino all’ultimo utilizza tale forma con estrema libertà, curioso di scoprire ogni volta le potenzialità insite nell’architettura che aveva tracciato».