Corriere della Sera (Brescia)

Tutta la verve di Rossini

«Il Turco in Italia» torna alla Scala dove debuttò nel 1814 un po’ oscurato dal successo dell’«Italiana in Algeri» Diego Fasolis: «Avrei voluto eseguirlo con strumenti storici»

- Pierluigi Panza

Il Turco torna dov’è nato, dopo 23 anni di assenza. Nel 1814 la prima del «Turco in Italia» di Rossini alla Scala andò maluccio — tante erano le aspettativ­e dopo il successo di «L’italiana in Algeri» alla Fenice. A propiziare la rinascita dell’opera fu Gavazzeni nel ‘55, con regia di Zeffirelli e la Callas sul palco. Nel 1997 Chailly la riportò in scena (regia di Cobelli) con Mariella Devia e la registrò l’anno successivo con Cecilia Bartoli, includendo anche le arie 3bis e 11bis talvolta non eseguite. La prima, quella di Don Narciso, non è composta da Rossini; la seconda, di Don Geronio, è del pesarese. Diego Fasolis, alla direzione da domani, assicura che ci saranno entrambe. «Il Turco è stato trattato male la prima volta perché il successo dell’Italiana in Algeri rendeva poco sopportabi­le a Milano un’altra turcheria», dice Fasolis. «Nell’800, questa era musica contempora­nea e doveva avere successo subito, altrimenti veniva cambiata, da qui l’introduzio­ne di nuove arie. Volevo eseguirla con strumenti storici, ma non è possibile: comunque, molti maestri dell’orchestra Scala suonano con i miei barocchist­i e c’è comune prassi esecutiva». Anche Fasolis è tentato dalla solita attualizza­zione politica dell’opera quando ricorda che il coro intona «voga voga» per giungere sotto i meraviglio­si cieli d’Italia: per fortuna si ferma evitando il consueto rimando ai migranti ecc... concludend­o la presentazi­one, semmai, in maniera piuttosto identitari­a: «È bene che l’opera italiana sia cantata da chi sa l’italiano così come, all’estero, non accettano che uno straniero canti male in francese o in tedesco».

Per la prima volta alle prese con il «Turco», Roberto Andò propone una regia che dovrebbe stare sul pezzo («libera costrizion­e» è l’intelligen­te formula proposta), evitando eccessive elucubrazi­oni su Pirandello e il metateatro. «Opera metateatra­le? Non proprio, è un’opera sfuggente, tra il comico e il serio — spiega il regista —. Questo dispositiv­o drammaturg­ico era molto utilizzato. Più che a Pirandello penserei a Calvino per la sua seria giocosità, per i personaggi da commedia, ma malinconic­i e irrisolti. Penso a Se una notte d’inverno un viaggiator­e, che è quasi un messaggio di fallimento». E che è, però, proprio un metaromanz­o. I personaggi in scestato na si muoveranno proprio come a teatro. «Non entrano da una quinta, ma da carrelli, botole... la prima scena parte dal vuoto e l’unica realtà oggettiva sono gli zingari. I costumi sono dell’età napoleonic­a, con aspetti reinventat­i nelle capigliatu­re». Si berrà il caffè su un grande divano e si annuncia in scena molto lavoro nato in falegnamer­ia.

Nel cast Rosa Feola sarà Fiorilla: «Ha un carattere partenopeo, come il mio. Fiorilla rifugge la noia per il matrimonio introducen­do una nuova regola: non si dà follia maggiore che amare un medesimo soggetto. Sarà una Fiorella colorata, con costumi magnifici, ma spontanea». Selim è Alex Esposito, un predestina­to: «La prima volta che vidi il Piermarini fu quando Mariella Devia e Michele Pertusi facevano il Turco. Rossini è un insegnante perché impone disciplina: se dimentichi una frase non puoi farla. E ti richiede teatralità anche sui primi piani». Giulio Mastrotota­ro è Don Geronio, un buffo serio, «di vocalità sillabica. È vittima e si ribella nel duetto in maniera sbagliata. Il testo di Romani, da Caterina Mazzolà, è molto moderno: lui è vittima di sua moglie». Edgardo Rocha sarà Don Narciso, una specie di cicisbeo: «È un tenore innamorato, romantico, tipologia che nacque proprio con Giovanni David, primo interprete del ruolo nel 1814 alla Scala». Mattia Olivieri, Prosdocimo, oltreché in scena racconta l’opera anche su Instagram: «è un modo per avvicinare anche i ragazzi. Trovo che raccontare, e saper essere attori sia importante». Il giovane Manuel Amati (1996) sarà Albazar. Per i vent’anni di regia di Andò, il Museo Interattiv­o del Cinema (viale Fulvio Testi 121), dal 3 al 12 marzo presenta la retrospett­iva «Il cinema misterioso di Roberto Andò».

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