LA PAURA E LA VERA VICINANZA
Che la paura viaggi sul filo di questi giorni, che paiono perfino più lunghi, è scontato. Che la paura sia auspicabile, forse un po’ meno, visti gli eccessi di panico alternati a quelli di non curanza che ci circondano. Gli eccessi muovono da un mancato riconoscimento di questa emozione primaria che, dall’origine della vita, permette di penetrare nel mondo a piccoli passi. È il motore di ogni difesa dell’animo, che consente di sopravvivere, prima, e di crescere sani, poi. La sua intensità si regola in relazione alla tranquillità di chi guida l’evoluzione interiore, alla capacità dei genitori di infondere fiducia. Come se mamma e papà dicessero al cuore del bimbo in difficoltà rispetto alle miriadi di novità incontrate nella vita extrauterina: «Lo so che ti sembra brutto e terribilmente difficile. Ma noi siamo qui con te. E, pian piano, ce la faremo». E il piccolo, seguendo la trama del filo della salute, lascia progressivamente il fare finta (dal che non ci sia un ambiente esterno al che non ci sia una minaccia esterna, prima, interna, poi) e la disperazione (dal non esserci, al non essere adeguato per gli altri e per sé). Sembra facile, ma non sempre lo è. E quando la quotidianità è gravata da angosce di morte e precarietà il danno è tanto maggiore quanto più si è negata prima la difficoltà e la finitezza dell’essere. E la fiducia nel farcela, la cosiddetta autostima, tanto minore quanto meno paziente e più adultizzante è stata la leadership familiare.
Sono tanti i bambini che in questi giorni sono subissati da notizie tragiche quando non hanno ancora il sistema antisismico sufficientemente stabile per elaborale. Sono troppi gli adulti che quotidianamente lasciano che la brutalità del mondo esterno entri in famiglia senza alcuna mediazione. La prima domanda che viene è se si debba negare il vero ai piccoli. Decisamente no. Ma ad essi va prospettato con la stessa fiducia che determina la crescita sana. Passiamo giorni difficili e di incertezza, ma ce la faremo. Pochi improperi di politica ed economia, niente polemiche distruttive, qualche lode per i tanti che si adoperano, fuori e dentro gli ospedali, per fornire aiuto, appoggi, prevenzione. Per chi cerca di imparare dagli errori. Per chi macro o microscopicamente vive il quotidiano come una missione. Per chi fa della calma il suo obiettivo costruttivo. Fiducia che la nostra finitezza preveda una
Provvidenza (che la si voglia scrivere a lettere capitali o meno), una possibilità di lasciarsi andare una volta che si è fatto tutto quello che potevamo fare. E magari trovarci quello che, sempre, anche nel tragico può esserci di bello. Questa quarantena può essere per la maggioranza dei non affetti una occasione. Fine della scuola e del ritmo assillante, dei compiti. Fine delle attività sportive, delle partite nei weekend. E i centri commerciali da evitare come luogo di aggregazione. Niente vita sociale di gruppo. Una vita per pochi intimi. Fermi tutti più che si può. Il mondo un po’ più lontano, per un isolamento, però, solo apparente o, meglio, dall’apparente. Che lascia spazio alla sostanza della vicinanza vera. Dei rapporti intimi spesso sacrificati nel modello di vita che era reale fino a poco fa. Un paradosso: la minaccia alla salute e alla vita che concede la chance di sanare la minaccia alla superficialità che vive nel tempo ordinario. Un tempo straordinario quello di ora che consente di recuperare uno spazio di quotidianità dell’intimità. Il virus del tempo ordinario ammala la vita di esteriorizzazioni, dimostrazioni, affanni. Un virus che intacca la cellula della famiglia impedendole di fermarsi a conoscersi e a sorridere. Sostituendo il sorriso al nulla o al ridere fatuo, del vuoto e della disperazione. Per quella malattia, che possiamo curare intanto che aspettiamo che passi l’attuale brutta minaccia, abbiamo già una cura: il sorriso dell’intimità, la tenerezza, un vaccino efficace per tutti i cuoricini tristi.
Cosa dire ai più piccoli
Non si deve negare il vero ai bambini, ma prospettarlo con la fiducia che ne determina la crescita sana, lodando chi si prodiga