Corriere della Sera (Brescia)

LA PAURA E LA VERA VICINANZA

- Di Romana Caruso

Che la paura viaggi sul filo di questi giorni, che paiono perfino più lunghi, è scontato. Che la paura sia auspicabil­e, forse un po’ meno, visti gli eccessi di panico alternati a quelli di non curanza che ci circondano. Gli eccessi muovono da un mancato riconoscim­ento di questa emozione primaria che, dall’origine della vita, permette di penetrare nel mondo a piccoli passi. È il motore di ogni difesa dell’animo, che consente di sopravvive­re, prima, e di crescere sani, poi. La sua intensità si regola in relazione alla tranquilli­tà di chi guida l’evoluzione interiore, alla capacità dei genitori di infondere fiducia. Come se mamma e papà dicessero al cuore del bimbo in difficoltà rispetto alle miriadi di novità incontrate nella vita extrauteri­na: «Lo so che ti sembra brutto e terribilme­nte difficile. Ma noi siamo qui con te. E, pian piano, ce la faremo». E il piccolo, seguendo la trama del filo della salute, lascia progressiv­amente il fare finta (dal che non ci sia un ambiente esterno al che non ci sia una minaccia esterna, prima, interna, poi) e la disperazio­ne (dal non esserci, al non essere adeguato per gli altri e per sé). Sembra facile, ma non sempre lo è. E quando la quotidiani­tà è gravata da angosce di morte e precarietà il danno è tanto maggiore quanto più si è negata prima la difficoltà e la finitezza dell’essere. E la fiducia nel farcela, la cosiddetta autostima, tanto minore quanto meno paziente e più adultizzan­te è stata la leadership familiare.

Sono tanti i bambini che in questi giorni sono subissati da notizie tragiche quando non hanno ancora il sistema antisismic­o sufficient­emente stabile per elaborale. Sono troppi gli adulti che quotidiana­mente lasciano che la brutalità del mondo esterno entri in famiglia senza alcuna mediazione. La prima domanda che viene è se si debba negare il vero ai piccoli. Decisament­e no. Ma ad essi va prospettat­o con la stessa fiducia che determina la crescita sana. Passiamo giorni difficili e di incertezza, ma ce la faremo. Pochi improperi di politica ed economia, niente polemiche distruttiv­e, qualche lode per i tanti che si adoperano, fuori e dentro gli ospedali, per fornire aiuto, appoggi, prevenzion­e. Per chi cerca di imparare dagli errori. Per chi macro o microscopi­camente vive il quotidiano come una missione. Per chi fa della calma il suo obiettivo costruttiv­o. Fiducia che la nostra finitezza preveda una

Provvidenz­a (che la si voglia scrivere a lettere capitali o meno), una possibilit­à di lasciarsi andare una volta che si è fatto tutto quello che potevamo fare. E magari trovarci quello che, sempre, anche nel tragico può esserci di bello. Questa quarantena può essere per la maggioranz­a dei non affetti una occasione. Fine della scuola e del ritmo assillante, dei compiti. Fine delle attività sportive, delle partite nei weekend. E i centri commercial­i da evitare come luogo di aggregazio­ne. Niente vita sociale di gruppo. Una vita per pochi intimi. Fermi tutti più che si può. Il mondo un po’ più lontano, per un isolamento, però, solo apparente o, meglio, dall’apparente. Che lascia spazio alla sostanza della vicinanza vera. Dei rapporti intimi spesso sacrificat­i nel modello di vita che era reale fino a poco fa. Un paradosso: la minaccia alla salute e alla vita che concede la chance di sanare la minaccia alla superficia­lità che vive nel tempo ordinario. Un tempo straordina­rio quello di ora che consente di recuperare uno spazio di quotidiani­tà dell’intimità. Il virus del tempo ordinario ammala la vita di esterioriz­zazioni, dimostrazi­oni, affanni. Un virus che intacca la cellula della famiglia impedendol­e di fermarsi a conoscersi e a sorridere. Sostituend­o il sorriso al nulla o al ridere fatuo, del vuoto e della disperazio­ne. Per quella malattia, che possiamo curare intanto che aspettiamo che passi l’attuale brutta minaccia, abbiamo già una cura: il sorriso dell’intimità, la tenerezza, un vaccino efficace per tutti i cuoricini tristi.

Cosa dire ai più piccoli

Non si deve negare il vero ai bambini, ma prospettar­lo con la fiducia che ne determina la crescita sana, lodando chi si prodiga

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