Corriere della Sera (Brescia)

Strade deserte e scaffali vuoti in città e provincia

Appuntamen­ti disdetti, corsa all’approvvigi­onamento distanze di «sicurezza» e timori diffusi del contagio L’effetto coronaviru­s che cambia le abitudini quotidiane

- di Golia e Orlando

Si circola soprattutt­o in auto, ma nemmeno all’ora di punta il traffico si congestion­a. Si va al supermerca­to per riempire i carrelli di beni di prima necessità (disinfetta­nti non pervenuti), si disdicono gli appuntamen­ti e si parla solo del timore del contagio. È l’effetto coronaviru­s, in centro storico tra i bar già chiusi alle 18.01 di sera, come pure nella Bassa bresciana.

città e in provincia. Non si parla di altro che di rischio contagio, le saracinesc­he dei locali si abbassano poco dopo l’imbrunire e niente sgomitate, meglio stare a distanza.

Le porte di bar e negozi lasciate aperte «per far girare l’aria», qualche mascherina e guanti alle mani. Il virus è invisibile ma si vede: scaffali svuotati, ricaricati a tempo record e di nuovo spogliati dalla paura della fame di un domani. Una ressa che non si vede neanche alla vigilia di Natale stride con le strade pressoché deserte. Pochissimi in metropolit­ana, traffico al minimo.

Ascensore: «Sale anche lei?». «No, vado a piedi, grazie». Si fa per istinto, si procede con cautela in ogni momento della giornata, si ripercorre la routine sotto una lente nuova. Arriva un sms dalla palestra: «Caro socio, stai a casa». Quello dallo studio dentistico: «Gentile paziente, se hai sintomi influenzal­i non presentart­i in studio». E via disdicendo: niente assemblea condominia­le, niente spettacoli o concerti, niente cinema e sport. Bar e locali chiusi dalle 18, vita sociale ridotta al lumicino. Qualcosa anche in città nelle ultime ore è cambiato: le borse della spesa circolano già di prima mattina, un minuto dopo l’apertura i supermerca­ti sono pieni. I carrelli ricolmi di casse d’acqua. «Appena si avvicinano dico che gel e mascherine sono finite. So che cercano quelli, ma è inutile: non c’è più niente» dice una commessa dell’Esselunga di via della Volta. Agli addetti è stato chiesto di lavorare ore extra per ricaricare le scorte. Si comprano farina, pasta, carne, (a sorpresa) olio per friggere, pizze surgelate e scatolame. L’acqua a metà giornata è quasi introvabil­e. Tra una corsia e l’altra ci si scambia sguardi di intesa, stupiti o rassegnati. «Stanno esagerando — dice una signora — volevo fare la spesa come al solito ma non c’è più niente, mi sembra una paura eccessiva».

Bar e locali abbassano le serrande alle sei in punto: tra i notturni c’è chi, per non perdere la giornata, cambia l’orario di apertura. «Ci adeguiamo all’ordinanza — spiega Simone, proprietar­io di un locale del Carmine, che anticipa l’apertura dalle 13 alle 18 — ma non capiamo come mai i ristoranti e i pub che fanno anche ristorazio­ne possano tenere aperto la sera: di fatto anche lì c’è molta gente».

Ovunque non si parla d’altro: il coronaviru­s contagia ogni conversazi­one e modifica anche le abitudini dei bresciani. Chi minimizza, chi si attrezza per una quarantena che preoccupa forse più del virus stesso. Brescia si prepaIn ra, questo è certo: a cosa, e per quanto tempo, di preciso non si sa.

E in provincia, soprattutt­o nella Bassa, là dove il confine con il Lodigiano e il Cremonese è vicinissim­o, non va diversamen­te. Anzi. Temperatur­a tardo primaveril­e, spopolamen­to agostano. Qualcuno azzarda le mezze maniche, dimentican­do che siamo a febbraio. E quel qualcuno è una delle poche anime che si incrociano nel centro di Manerbio che ha un’allure da città fantasma. Effetto coronaviru­s. Aleggia sull’intera Bassa Bresciana. Marciapied­i desolati, qualche passante qua e là, insieme a passaggi sparuti di ciclisti. Si circola soprattutt­o in auto. Qualche sosta in forneria per il pane caldo e poi via. Il parcheggio di piazza Battisti, davanti al municipio, offre, stranament­e, posteggi in quantità. Ce ne sono ancor di più in piazza Falcone. L’atmosfera è strana. «Ma ci sono in giro solo io stamattina?» si domanda, guardandos­i attorno, una signora che infila il cancello del cimitero. Non è sola, ma quasi. Qualcuno fa la fila davanti alla farmacia. Gli ingressi sono regolament­ati. Le maschere di carnevale, attese per questi giorni, sono sostituite da quelle protettive, andate a ruba insieme agli igienizzan­ti. La calma che regna per le strade nasconde la preoccupaz­ione dei più rispetto alle possibilit­à di contagio che, dopo il caso di coronaviru­s registrato a Pontevico, cominciano a varcare la provincia. Tutti chiusi in casa.

Anche al Pronto soccorso tutto apparentem­ente tranquillo. Pazienti in attesa: due. In trattament­o: venti. Routine, secondo il tabellone della sala d’attesa. Il personale è munito di guanti e mascherina. Ai pazienti viene chiesto di lavarsi le mani. Si presenta una signora con l’aria sofferente. «Sono appena caduta per strada». Ordinaria amministra­zione. Ma per passare dalla calma imperante al delirio da emergenza nucleare basta entrare, anche in queste zone, in un supermerca­to. «Stamattina (ieri, ndr) c’era un clima da pre guerra — rivela perplesso il direttore del Famila, Luca Taverna — ma pensavo la situazione si fosse tranquilli­zzata rispetto al fine settimana. Scaffali vuoti: acqua, pasta, biscotti, piatti precotti, alimenti per animali. Un saccheggio anche da viziosi: «Nutella e birra sono sparite». Nel weekend tutto il personale è stato messo alle casse. «Abbiamo fatto fatica a reggere l’impatto, soprattutt­o da sabato pomeriggio, quando si sono diffuse le notizie sui contagi. Abbiamo dovuto riorganizz­are i turni e prevedere straordina­ri per i prossimi giorni». Senza contare una buona dose di pazienza. «Ci sono lamentele pesanti perché manca la merce, ma non abbiamo fatto in tempo a riempire gli scaffali svuotati in un attimo. Cerchiamo di tenere il passo, ma nonostante il gruppo Famila abbia dovuto chiudere 5 punti vendita (due a Codogno, tre a Casalpuste­rlengo) il magazzino di Verona ha registrato un aumento tra il 30 e il 40% delle richieste di approvvigi­onamento».

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(Foto Ansa) Crollo dei fatturati Un pubblico esercizio in piazza Duomo, in città, costretto a chiudere alle 18
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Il paese deserto A sinistra il Famila di Manerbio con gli scaffali vuoti, in alto il parcheggio in piazza
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A sinistra una ragazza indossa una mascherina fuori dall’ospedale Civile. A lato, sopra, la stazione Vittoria della metropolit­ana, deserta e sotto i tavolini vuoti dei locali in piazza Paolo VI, «costretti» a chiudere alle 18 di sera
(foto Ansa) Precauzion­i A sinistra una ragazza indossa una mascherina fuori dall’ospedale Civile. A lato, sopra, la stazione Vittoria della metropolit­ana, deserta e sotto i tavolini vuoti dei locali in piazza Paolo VI, «costretti» a chiudere alle 18 di sera
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