L’intervista «Contagio psichico più pericoloso del virus C’è il rischio di comportamenti violenti»
Antonino Giorgi: «In queste situazioni le paure si amplificano e sono strumentalizzate»
«Il contagio psichico è potenzialmente più pericoloso del Coronavirus stesso. L’angoscia è un vissuto disfunzionale — diverso da quello della sana paura protettiva — che può scagliarsi verso un nemico invisibile e generare risposte e comportamenti distruttivi violenti e paranoidei ».
Commenta gli episodi di panico collettivo innescati dall’emergenza sanitaria che ha destabilizzato la vita sociale ed economica del nostro paese Antonino Giorgi, psicologo clinico e di comunità, docente all’Università Cattolica di Brescia, attivo nella terapia in contesti vittimologici e traumatologici.
«Il contagio psichico prevede la perdita della dimensione individuale per appropiarsi di quella collettiva. Se la sofferenza travalica il singolo si può parlare di trauma della comunità, per il quale è necessario attuare misure di controllo volte a limitare una cieca trasmissione emotiva, distante dalla razionalità».
Fu il fondatore della psicologia delle masse Gustave Le Bon a sottolineare la potenza delle emozioni come reazioni dell’organismo più contagiose delle epidemie stesse (in senso sia negativo che positivo), distruttive e disfunzionali se legate all’angoscia, ovvero quello stato psichico che prevede la necessità di individuare un “nemico” per autolegittimare la propria esistenza, proiettando all’esterno l’istanza paranoide.
«Questo è un concetto chiave della contemporaneità: l’epidemia di Coronavirus amplifica la percezione paranoidea dell’altro già insita nella nostra società, moltiplicando la paura del “diverso”, dello “straniero”, oggi largamente percepita. In queste situazioni di emergenza le paure si amplificano e vengono strumentalizzate, e per questo diventa fondamentale conservare la parte razionale, attenendosi alle fonti ufficiali e facendo un uso sano e ragionevole dei social media, tecnologie strutturate per enfatizzare l’emotività (attraverso l’uso di emoticons, likes, immagini) che rimandano all’aspetto affettivo più che cognitivo».
Oltre ai decreti emanati dalle autorità volti al contenimento dell’epidemia diventano dunque indispensabili disposizioni che limitino un pericoloso e inconsapevole flusso di emotività veicolato dai social media, che spesso sfocia in reazioni ad alto livello di aggressività, originata dalla sensazione di insicurezza e pericolo collettiva, spesso solo percepita e fittizia, «amplificata dalla massiccia circolazione di fake news (in questo periodo sono state veramente parecchie). La verità è faticosa e richiede tempo di elaborazione, che l’immediatezza dei social non consentono, stimolando invece il lato più emotivo e primitivo dell’uomo. Per questo diventa indispensabile informare le persone di un uso serio e responsabile di tali mezzi di comunicazione che andrebbero regolamentati anche giuridicamente. Il che non significa limitare la libertà, ma responsabilizzarla».
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Le conseguenze Si moltiplica la paura del «diverso», dello «straniero», oggi già largamente percepita