L’impresa di una terapia intensiva creata in 24 ore «Personale, attrezzature, iniziativa e tanto lavoro»
Creare una terapia intensiva in 24 ore. È il «miracolo» che si sta ripetendo in tanti ospedali lombardi per far fronte alla richiesta di posti letto generata dal Covid-19. Maria Teresa Cuppone, direttore sanitario dell’Irccs Policlinico San Donato, spiega come si mette in piedi un reparto in meno di una giornata.
Dottoressa, perché gli ospedali pubblici o privati come voi, devono riorganizzarsi?
«C’è una grande esigenza di posti letto in terapia intensiva. Un buon numero di pazienti positivi al virus può sviluppare un’insufficienza respiratoria: in tal caso deve essere ricoverato in questi reparti. La Regione ci ha dato indicazioni chiare su come riorganizzarci».
Al San Donato c’è già una terapia intensiva. Non era sufficiente?
«No, perché lì erano ricoverati altri malati gravi non infetti. Dovendo dare un supporto veloce, non potevamo svuotare quel reparto né creare un’area separata per i positivi al virus. Così abbiamo pensato di allestire una rianimazione in un nuovo blocco operatorio che aveva appena ricevuto le autorizzazioni dall’Ats (ex Asl, ndr)».
Come si trasforma una sala operatoria in una rianimazione?
«Servono personale qualificato e attrezzature. Per il primo, gli uffici hanno svolto un’indagine interna. In una rianimazione sono necessarie competenze specifiche. È stato fatto un censimento degli infermieri adatti, per esempio quelli che lavorano nelle sale operatorie o in emodinamica. Per i medici, ci siamo rivolti agli intensivisti. Non si tratta di personale in esubero, ma che normalmente è impiegato nelle attività programmate ora fortemente ridotte per l’emergenza».
E dove avete recuperato le attrezzature?
Gli spazi
I sei posti sono già occupati, abbiamo dedicato 40 letti ai pazienti sospetti o positivi non gravi e potrebbero servire nuove aree
«In terapia intensiva sono fondamentali i respiratori, perché i pazienti vanno intubati. Abbiamo fatto un censimento di quelli già presenti, altri sono stati ordinati. Di questo si è occupato l’ufficio di ingegneria clinica. E poi si sono dovuti trovare farmaci, presidi e rivedere anche i percorsi di medici e infermieri che entrano ed escono dalla neonata rianimazione».
In quanto tempo?
«Meno di una giornata, grazie alla collaborazione e al lavoro senza soste di tutti. Al mattino di mercoledì ho comunicato in via ufficiosa alla Regione che ci stavamo muovendo e subito ci è stato detto di richiedere i pazienti. Al pomeriggio la task force guidata da Antonio Pesenti del Policlinico ci ha inviato i primi malati».
Per un po’ ora starete tranquilli.
«Per nulla. I sei posti creati mercoledì sono già tutti occupati, pensiamo di allestirne altri due ma ci serve qualche giorno. È necessario un infermiere ogni 2 letti di terapia intensiva. Viviamo quasi alla giornata, domani potrebbe arrivare un’altra richiesta».
Per esempio?
«Non ci sono solo le rianimazioni. Abbiamo dedicato 40 letti ai pazienti sospetti o positivi, ma non gravi. Potremmo dover creare nuove aree di accoglienza per chi arriva al Dea».
Quanti e quali specialisti del San Donato sono coinvolti?
«Il Policlinico ha 250/300 medici strutturati e circa 400 infermieri. Direi che il 30% è dedicato al coronavirus. Facciamo formazione al personale, ma siamo già allenati a gestire pazienti complessi, avendo reparti come la cardiochirugia e la chirurgia vascolare. Per ora i più impegnati sono gli intensivisti e gli specialisti dell’area medica. Credo che prima o poi coinvolgeremo anche i chirurghi. Siamo in guerra e combattiamo».