Nascita, fortune e difficoltà della cooperazione «rossa»
L’exploit del biennio 1919-20, gli assalti fascisti, il boom anni ‘70
Un esordio glorioso, massiccio e orgoglioso fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Un’espansione arrembante durante il biennio rosso 1919-1920. Una repressione inesorabile durante il fascismo. Una ripresa faticosa nel dopoguerra, con qualche successo nel campo dell’edificazione, del consumo e dei servizi attorno agli anni Ottanta del secolo scorso.
È questo il diagramma storico della cooperazione rossa a Brescia nella ricostruzione – ampia e documentata – che ne fa Paolo Pagani nel libro «Cent’anni di solidarietà. Cooperazione e resistenza a Brescia nel Novecento» (LiberEdizioni). Nata come omaggio alla cooperativa «Solidarietà» di Gardone Valtrompia, paese di Pagani, la ricerca s’è allargata all’intero territorio provinciale e s’è dilatata fino alla fine del XXI secolo, arrestandosi sulla soglia della stagione che ha visto la crisi e il ridimensionamento del comparto delle costruzioni in cooperativa.
«Esiste molta storiografia su partiti e sindacati della sinistra — spiega Pagani, dirigente dell’Amministrazione provinciale oggi in pensione, non nuovo a cimenti storici — ma mancava una storia del movimento cooperativo. Io avevo motivi di riconoscenza, una promessa fatta tanti anni fa alla Cooperativa Solidarietà, e da quella sono partito nel primo capitolo del libro».
Storia singolare e a lungo gloriosa, quella della cooperativa gardonese, che arriva a essere titolare di un circolo, di una rivendita di alimentari, una di tessuti, risultando a un certo punto la cooperativa di consumo più grande della provincia. Non male in un paese dove erano attive già due cooperative, quelle dei dipendenti Redaelli e della Beretta. L’incapacità di unire le forze,
però, ha portato alla chiusura di tutte le tre esperienze.
Certo, la presenza cooperativa di sinistra a Brescia non è paragonabile a quella dell’Emilia e della Toscana, e qui ha dovuto scontare una posizione minoritaria rispetto a quella «bianca». «Tuttavia nel biennio rosso è stata molto dinamica. La cri
si è arrivata con il fascismo che ha sciolto molte cooperative, ne ha assaltato parecchie, in altri casi ha creato problemi con incidenti durante le assemblee che hanno portato al commissariamento. La fase di difficoltà è proseguita nel dopoguerra, quando è rinato solo ciò che il fascismo non aveva eliminato». Il minimo storico viene raggiunto nei primi anni Settanta, con sole 23 cooperative della Lega presenti in provincia. «In comparti come il lavoro e l’agricoltura non ne esisteva traccia. Da lì in avanti però — osserva Pagani — c’è stato un grande salto in avanti nel settore del consumo, dei servizi sociali, della cultura, dell’agricoltura, e in sei-sette anni si arrivano a contare 700 cooperative della Lega con 80mila soci e duemila dipendenti». La decisione di fermarsi nel racconto all’inizio degli anni ’90 dipende dalla scelta, allora fatta, della regionalizzazione che, dice Pagani, ha compromesso gli archivi.
Un capitolo apposito è dedicato alla cooperazione edificatrice «che — ricorda Pagani — ha avuto grande sviluppo a partire dagli anni ’70 e le cui fortune sono legate a figure di promotori e di progettisti come Libero Giacomelli, Mario Abba, Ettore Fermi, Gianni Marchetti, Luigi Ungaro, Francesco Rossi».
Nei primi decenni il movimento cooperativo non ha avuto vita facile neppure a sinistra. «Le cooperative di consumo nascono con una forte integrazione rispetto alla resistenza sindacale». Erano cioè il serbatoio che evitava a lavoratori in sciopero o licenziati di finire nell’indigenza più nera. Ma non tutto filava liscio, sul terreno squisitamente politico e ideologico. «Molti all’interno della sinistra, penso all’onorevole Viotto dei socialisti, frenavano l’apertura di nuove cooperative perché sostenevano che portavano i militanti verso destra, creando caste chiuse che rappresentavano un freno alle lotte politiche e sindacali». Opposta la visione di Pagani: «La cooperazione in realtà tiene assieme funzione sociale e funzione economica, anche se la convivenza non era facile. Nel secondo dopoguerra, ad esempio, alcune cooperative della Bassa ‘saltarono’ dopo aver fatto credito in modo scriteriato. Negli anni ’50 e ’60, poi, a Brescia non decolla il processo di unificazione nella Coop delle piccole cooperative di consumo che temono un allentamento del legame con i soci e il prevalere di logiche economiche. E se alcuni bresciani, come Giuseppe Berruti, Lino Battistini e Giuseppe Romano spronano a livello locale e nazionale per l’unificazione, chi si estranea da questo processo finisce per chiudere i battenti».
Paolo Pagani ha ricostruito tutte queste vicende attraverso i documenti conservati alla fondazione Micheletti e al centro di documentazione della Lega Cooperative, la lettura di tutta la stampa di sinistra dell’epoca e tante, tantissime interviste e testimonianza dirette. Un modo, anche questo, per rendere palpitante e avvincente una storia fin qui non studiata.
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Contrasti
Alcuni socialisti come l’on. Viotto frenavano l’apertura di nuove cooperative perché sostenevano che portavano i militanti a destra
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Promotori e progettisti Nell’edilizia sono stati decisivi Libero Giacomelli, Mario Abba, Ettore Fermi, Gianni Marchetti, Luigi Ungaro, Francesco Rossi