Rivolta di San Vittore Aperto un fascicolo dopo le devastazioni Incontro coi detenuti: nodo sovraffollamento
Nessuna promessa, perché lo Stato non si fa condizionare dalla violenza. Dopo la rivolta che ha devastato due reparti del carcere San Vittore, magistrati, Dap della Lombardia e direzione assicurano ai detenuti solo l’impegno di rappresentare all’esterno più di quanto già si faccia, i loro problemi e le loro necessità.
«Hanno ragionato insieme a noi sulla inutilità di questo tipo di proteste e hanno convenuto di studiare percorsi migliorativi della vita del carcere. Il primo dei quali è il sovraffollamento», spiega ieri il presidente del Tribunale di Sorveglianza, Giovanna Di Rosa, uscendo dalla casa circondariale dopo il secondo incontro con una ventina di rappresentati dei reclusi (cinque per reparto) al quale hanno partecipato anche i pm Alberto
Nobili e Gaetano Ruta (hanno aperto un fascicolo contro ignoti sulle devastazioni), il direttore Giacinto Siciliano e il comandante della Polizia penitenziaria Manuela Federico. Le violenze e le devastazioni erano terminate lunedì pomeriggio dopo che i detenuti erano saliti sui tetti chiedendo l’amnistia o l’indulto, il ripristino dei colloqui con i parenti, interrotti per il rischio da coronavirus come i permessi premio e altri benefici penitenziari esterni. Una prima trattativa aveva fatto smettere le violenze e fissato un nuovo incontro per ieri per dare modo ai rappresentanti di riferire agli altri detenuti.
Ai tanti reclusi che hanno sostenuto di avere difficoltà a ottenere le risposte a molte loro istanze «abbiamo detto di ripresentarle e poi noi le gireremo ai giudici competenti per avere risposte immediate. La Procura deciderà subito sulle autorizzazioni per i colloqui telefonici», chiarisce Di Rosa. «Abbiamo affrontato la vita interna. Rimane il problema politico, che non spetta a noi risolvere», precisa Nobili.
Le proteste hanno anche riguardato il carcere di Opera dove i detenuti hanno devasta devastato cinque dei 35 reparti. Come a San Vittore, «grazie al comportamento eroico», come lo definisce Di Rosa, del direttore, del comandate e degli agenti della polizia penitenziaria la protesta si è conclusa solo con l’uso dell’arma della dissuasione.