Troppi morti bare in cappella
Al tempio crematorio si lavora dalle 4 all’1 di notte ma l’attesa rispetto al solito è comunque raddoppiata Comuni aperti anche nel weekend per le pratiche Succede al Civile dove l’obitorio ormai è stracolmo. Niente funzioni religione sepolture in 24 ore
Si muore soli e mai come in tempi di epidemia. Il coronavirus lascia dietro di se troppi morti e così le bare al Civile finiscono in cappella.
Dire addio in ventiquattr’ore o poco più, salutare una vita amata senza averla potuta accompagnare verso la fine.
Si muore soli, si muore in fretta. Purtroppo, si muore in tanti. Negli ospedali è difficile trovare posto per i vivi ma anche per i morti: «Al Civile la situazione è drammatica — raccontano i proprietari delle onoranze funebri della città non ci stanno più nelle stanze, li stanno mettendo anche nella cappella ma anche lì lo spazio sta finendo».
Il rito della morte è cambiato: non c’è più. La morte invece è ovunque, un altro paradosso, uno dei tanti di questi giorni. Nessuna consolazione dai funerali, gli abbracci sono solo pensati e le preghiere si condividono solo a distanza. Il coronavirus cambia il lutto e impedisce alle famiglie di stringersi nel dolore. Ognuno lo fa per conto suo, di collettivo c’è solo lo stordimento per quello che succede intorno, per le tante vite spezzate, per i legami interrotti, per una mancanza difficile da mettere a fuoco.
Anche chi con la morte ha a che fare ogni giorno fatica a trovare le parole per dirlo: «La viviamo malissimo, fatichiamo a tenere il passo e non è normale, non dovrebbe essere così. E poi non sono così anziani, è drammatico quello che sta succedendo. Siamo allo sfascio», dicono i titolari delle imprese funebri.
Gli uffici comunali rimangono aperti anche il sabato e la domenica: «Abbiamo deciso di mantenere il servizio in funzione anche nel weekend per aiutare le agenzie con le pratiche e accorciare i tempi della burocrazia», spiega l’assessore Valter Muchetti.
Una scelta che dà a sua volta la misura dell’emergenza: se di solito devono passare poi 24 ore prima di firmare il certificato del decesso adesso bastano pochi minuti, spiega Muchetti, che specifica: «I feretri non sono considerati più infettivi quindi vengono spostati subito nelle camere mortuarie. In poco tempo si fa la benedizione e quindi vengono portati al cimitero per la tumulazione, o messi in attesa al tempio crematorio».
Dove si lavora dalle quattro di mattina all’una di notte: l’attesa media per i residenti della città (che hanno una via “prioritaria”) è raddoppiata, da 3 a 6 giorni, per chi invece è residente in provincia può superare i 10 giorni.
Il coronavirus stravolge consuetudini millenarie: il funerale non esiste più, e c’è chi ha trasmesso l’ultimo saluto al proprio papà in diretta su Facebook. «Il lutto è cambiato — spiega la proprietaria di un’agenzia di onoranze funebri di Orzinuovi, uno dei comuni più colpiti dal coronavirus — e lo si vive in modo diverso, ma non è normale. C’è una marea di morti: noi li conosciamo tutti, è gente del paese. E non sono solo anziani. Cerchiamo di gestire questa situazione al meglio, facciamo il possibile ma è difficile: fuori un morto ne arriva subito un altro».
Difficile poi far rispettare ovunque le misure di sicurezza e le distanze: «Abbiamo ridotto gli orari di apertura, perché dovrebbero entrare solo i parenti stretti ma di fatto si creano assembramenti — dicono da una casa del commiato — quindi stiamo valutando di chiuderla del tutto. Se si ammala uno di noi dobbiamo metterci tutti in quarantena e non possiamo più garantire il servizio».