Uccisa in Pakistan Chiesto il processo per padre e fratello
La ragazza sarebbe stata uccisa in patria «per aver rifiutato il matrimonio deciso dalla famiglia»
Per scrivere la parola «fine» su questo caso bisognerà aspettare ancora. E ancora, visto l’eccezionale periodo di emergenza nazionale che «congela» anche l’attività — non urgente — dei nostri Palazzi di giustizia. Ma in aula approderà la morte di Sana Cheema: doppia cittadinanza, italiana e pakistana con una casa a Brescia, fu uccisa il 18 aprile del 2018 a soli 25 anni nel distretto di Gujrat, in patria, poche ore prima che salisse su quel volo che l’avrebbe riportata in città. «Una disgrazia» disse la famiglia che la seppellì in fretta e furia non lontano dal villaggio. Ma non per gli inquirenti italiani.
Per la morta di Sana, in Pakistan, il 18 febbraio 2019 scorso sono stati assolti con formula dubitativa dalla Corte d’assise il padre, Ghulam Mustafa Cheema, 51 anni, il fratello Adnan, 32 (inizialmente confessarono salvo poi ritrattare) e la mamma Tahira Nargis, che li avrebbe coperti. Ma per la procura generale di Brescia Sana è stata uccisa, strangolata utilizzando un «doupat», il tradizionale turbante pakistano perché avrebbe rifiutato il matrimonio combinato per lei dai parenti, rimandando al mittente i pretendenti (compreso un cugino mai conosciuto) senza nemmeno incontrarli. Raccogliendo dunque l’eredità dell’ex pg Pier Luigi Maria Dell’Osso, che la primavera di un anno fa avocò l’inchiesta ipotizzando un delitto di stampo politico, il procuratore generale reggente Marco Martani ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio (aggravato dalla premeditazione e dell’abuso del rapporto parentale e delle relazioni domestiche) nei confronti del papà di Sana, Moustafà — anche lui cittadino italiano come la figlia — e del fratello maggiore Adnan. Udienza preliminare inizialmente fissata a marzo, ma rinviata al 30 giugno per la sospensione dell’attività degli uffici giudiziari causa coronavirus.
Ma i due indagati sono irreperibili, così come lo erano al momento della chiusura indagini. Non sapendo nulla quindi dell’inchiesta italiana che pende a loro carico — Moustafa risponde anche di maltrattamenti — non si esclude il giudice si troverà costretto a sospendere ulteriormente il procedimento per disporre ulteriore ricerche finalizzate alla loro localizzazione. Il padre e il fratello di Sana, emerge anche dalla super consulenza disposta dall’ex pg, ne avrebbero cagionato la morte «per asfissia meccanica violenta da compressione degli organi del collo mediante lo strangolamento così annullando, in un contesto sociale organizzato per caste, i diritti politici e sociali fondamentali della vittima, soppressa per aver reiteratamente rifiutato il matrimonio deciso dalla famiglia».